ROMA – Gli uomini hanno in sé una scintilla divina che li fa somigliare alla divinità. Ma non tutti riescono a scoprirla. Solo gli artisti ne sono consapevoli ed essi sono gli unici a trasformarla in un atto creativo. E’ il messaggio de “La scuola di Platone” di Jean Delville, opera sorprendente, affascinante e a tratti scabrosa, contraddittoria. Qualcuno l’ha definita blasfema. La sua comprensione non è semplice soprattutto perché, anche se nell’iconografia essa richiama diversi modelli, non ha niente di tradizionale. Risulta infatti surreale, insolitamente affascinante ed ambigua, erotica e, nella sua novità, rivoluzionaria. Varrà ricordare che l’autore è un esponente del simbolismo belga europeo. A fine ‘800 questo movimento si oppose al materialismo e al perbenismo del periodo dedicandosi all’esoterismo, all’occultismo e alla spiritualità, giungendo a scavalcare ogni frontiera tra purezza e sensualità.
Per questo, leggere l’opera in maniera chiara e univoca non è facile ma io ci proverò con voi. La stranezza è già nel tema: al centro c’è Platone somigliante a Cristo, con la mano destra sollevata in modo raffaellesco ma con ricadute nel contesto del tutto originali e, soprattutto, al di fuori della tradizione classica. Intorno a lui sono raccolti i suoi studenti, dodici come gli apostoli ma che, a differenza di questi, sono nudi o seminudi. I colori, la fauna e la flora circostanti sono simboli sotto cui è sotteso un discorso. La scena ha avuto molti tentativi di interpretazione ma la più accattivante è che si tratti della rappresentazione di ciò che deve fare l’artista: decodificare l’armonia universale e trasporla in arte. Questa armonia, nell’opera in questione, è ottenuta attraverso il gioco di valori numerici e di figure simmetriche ravvisabili nelle posizioni e negli atteggiamenti degli studenti/apostoli. E poi Delville ci vuole dire qualcosa sul piano spirituale, che nasce dall’idea di unità delle tradizioni religiose orientali e occidentali, tipica di tutto il simbolismo.
Il pavone, prefigurazione della resurrezione di Cristo, era già simbolo di immortalità in età pagana e gli studenti sono dodici come gli apostoli. La vite, sangue di Gesù nel linguaggio cristiano, appare spesso nell’arte cinese e giapponese qui richiamate. Il sincretismo è evidente. Non è finita. Perché tanti nudi? Che siano nudi maschili ha fatto propendere molti critici verso una celebrazione delle relazioni pederastiche ma nei suoi scritti Delville chiarisce che l’omoerotismo non c’entra niente. In realtà le simmetrie e le armonie dei suoi nudi evocano forme ideali, spirituali e richiamano l’androgino, ovvero la fusione e la sintesi di maschile e femminile. Tutto, quindi, nel dipinto riporta a un concetto a questo punto preciso e forse un po’ elitario, snobistico. Le allusioni, i richiami, il mistero e l’ambiguità sono solo porte che l’artista indica di aprire per toccare, con un’emozione, l’assoluto. Questo traguardo sarebbe altrimenti irraggiungibile all’uomo comune, che non è riuscito a scoprire la propria scintilla. Il compito dell’artista è quello di guidarlo all’intuizione delle corrispondenze sottese al reale e quindi all’esperienza dell’assoluto, alla conoscenza. Solo lui, infatti, può farlo.
Gloria Zarletti
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