“Chiuderle subito era un provvedimento logico, di buon senso. Ma adesso non c’è alcuna ragione per non riaprirle”. Parola del professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e scienziato di fama internazionale, che in un’intervista al Corriere della Sera spiega senza mezzi termini che le scuole dovranno ricominciare le loro normali funzioni. “La ripresa delle attività scolastiche deve essere effettuata in un complesso equilibrio tra contenimento del rischio del contagio, benessere socio-emotivo di studenti e lavoratori e qualità dell’apprendimento”. Parola del Comitato tecnico scientifico che detta le regole per il ritorno in classe a settembre. Mettere insieme queste legittime esigenze sarà un’impresa. Anzi, a dire il vero, non sembra proprio fattibile.
Vale la pena cominciare dal distanziamento che è norma ferrea, non derogabile: il Cts indica in almeno un metro la distanza che deve intercorrere in aula e negli spazi comuni tra gli studenti. Con classi di 20 alunni (ma in genere sono di più) non sarà possibile, se non allargando i locali. E come si fa? Il problema è ben presente ai tecnici che infatti sollecitano i dirigenti scolastici ad interpellare i sindaci per l’individuazione di spazi ulteriori da mettere a disposizione degli istituti. I Comuni (che peraltro già lamentano mancati introiti che vanno dai 3 ai 6 miliardi di euro) dovrebbero quindi ulteriormente indebitarsi per reperire questi spazi.
Si indicano poi orari di ingresso (e quindi di uscita) differenziati, magari cominciando dalle 8,30 quando cioè la maggior parte dei lavoratori ha finito di affollare i mezzi pubblici e ha già raggiunto l’ufficio o l’azienda dove presta la sua opera. Ma questo implica che l’edificio scolastico sarà occupato fino alle 15-15,30 con inevitabili ripercussioni sugli orari degli insegnanti che. come tutti sanno, fanno lezione in varie classi. Con un po’ di organizzazione si può fare, ma lo stesso Cts esprime chiaramente la necessità che ci vorrà personale aggiuntivo. Qualcuno ha fatto i conti ed è venuta fuori la cifra di 60mila unità. Non è faccenda che si possa risolvere in poche battute. Di fatto, ammesso che si parta oggi, rimangono tre mesi per predisporre un insieme di novità destinate ad avere un impatto profondo nella vita di tutte le scuole italiane.
E poi ci sono i problemi legati al tempo pieno e al pranzo a scuola con l’ipotesi del “lunch box” (ma non era meglio dire colazione al sacco?), sull’uso delle palestre (qui il distanziamento deve essere di 2 metri e sono vietate le attività collettive) e dei laboratori. Una serie di trasformazioni che incidono in maniera sensibile su alunni e personale tutto e che, in tutta sincerità, al momento appaiono di complicatissima applicazione pratica. Certo, viene indicata la strada della didattica a distanza anche per le scuole medie, ma come forma di integrazione alla didattica frontale che quindi dovrà necessariamente restare. L’impressione è che la ormai famosa (o famigerata?) DaD sarà ancora assai preponderante sul resto.
Il Comitato tecnico scientifico da una parte detta obblighi e dall’altra dà indicazioni e consigli che poi toccherà ai presidi mettere in atto. La scuola che verrà è ancora tutta da scrivere.
Buona domenica.
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