Sono passati trent’anni da quando, esattamente il 6 agosto 1994, se ne andava Domenico Modugno. Il “Mimmo nazionale”, conosciuto in tutto il mondo con il nomignolo di “Mister Volare”, era da tempo malato, costretto a muoversi in carrozzella, con evidenti difficoltà anche nell’esprimersi, ma non aveva mai perso queslla straordinaria vitalità che era stata il tratto distintivo di tutta la sua vita. Un personaggio amatissimo, capace di attraversare un quarantennio di storia musicale con leggerezza e sapienza tanto da diventare un’icona indiscussa del genio canoro italico in ogni angolo del pianeta. Il suo “Volare oh oh”, urlato a braccia aperte, ritornello di un brano che in realtà si chiamava “Nel blu dipinto di blu”, è universalmente famoso tanto da essere cantato in ogni circostanza quando c’è da festeggiare un evento o semplicemente come inno alla vita.
Domenico Modugno, dal punto di vista artistico, è stato un autentico “rivoluzionario” che non solo ha cambiato più volte i codici della canzone italiana ma ha incarnato quella figura di intrattenitore completo, capace di spaziare con autentico talento dalla canzone al teatro e al cinema, dalla recitazione alla capacità di comunicare con tutti, senza eccezioni e senza vincoli di età: un artista in grado di mantenere costante la forza espressiva perché dotato di un carisma che lo faceva diventare un leader e un trascinatore. Sono qualità naturali, è vero, ma affinate e migliorate seguendo i corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il talento non basta: va allenato e fortificato con costanza. Sempre.
Al Festival di Sanremo del 1958 con “Nel blu dipinto di blu” cambiò definitivamente il corso della canzone italiana, liberandola dalla retorica e dai luoghi comuni melodici: le braccia spalancate durante il ritornello sono ancora oggi la pietra miliare della moderna musica tricolore. Peraltro, grazie a “Volare”, Modugno è stato il primo cantante italiano a conquistare l’America e poi il mondo intero, il primo a vincere un Grammy (impresa quasi impossibile per chi non canta in inglese), il primo artista veramente internazionale che non fosse un tenore specializzato in arie d’opera o canzoni napoletane.
Ma in precedenza era stato capace di portare al successo la musica folk quando, all’inizio della carriera, lui pugliese di Polignano a Mare, usava un dialetto salentino molto simile al siciliano tanto che agli inizi della carriera si spacciò per siciliano aprendo così una ferita con i suoi conterranei, che si sentivano traditi. Ferita che si sanò definitivamente solo il 26 agosto 1993, praticamente un anno prima della morte, quando fece un concerto nella sua Polignano davanti a 70 mila persone: “Chiedo scusa – disse – ma per la fame avrei detto anche di essere giapponese…”. Già, perché gli inizi della carriera furono davvero duri. Modugno nasce il 9 gennaio 1928 a Polignano a Mare, in provincia di Bari, da Vito Cosimo Modugno, comandante della Polizia locale, e Pasqua Lorusso, del vicino paese di Conversano; ha due fratelli maggiori, Vito Antonio e Giovanni, e una sorella maggiore, Teresa, e sin da piccolo in famiglia viene chiamato Mimì. Nel 1932 il padre viene trasferito per lavoro a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, e lì impara il dialetto sanpietrano (che fa parte dell’area del dialetto salentino), che ricorda appunto il siciliano (fa parte della medesima area linguistica), nel quale scriverà le sue prime canzoni.
Durante l’adolescenza impara a suonare la chitarra, presso un calzolaio del limitrofo comune di Squinzano, e la fisarmonica, mentre nel 1945 compone le sue due prime canzoni, che non inciderà mai; scrive anche alcune poesie che fa stampare dal padre tipografo di un suo amico; successivamente le sue canzoni verranno scritte nel dialetto del paese di San Pietro Vernotico. Nel frattempo frequenta l’Istituto di Ragioneria a Manfredonia. Nel 1947 si trasferisce, all’insaputa del padre, a Torino per cercare fortuna e lavora prima come cameriere e poi come apprendista gommista alloggiando in una baracca in affitto. Nel 1949, dopo il servizio militare a Bologna, ritorna al paese e si lascia crescere i baffi e comincia a esibirsi come suonatore di fisarmonica nelle serenate alle ragazze con il suo gruppo di amici conquistandosi la fama di “fimminaru” (sciupafemmine) per via della sua prestanza e delle sue doti artistiche.
Domenico Modugno è stato un cultore del dialetto, che considerava lo strumento espressivo naturale degli italiani: oltre al salentin – siciliano, padroneggiava con naturalezza il napoletano tanto da scrivere una splendida canzone come “Resta cu’ mme”, diventata un classico della musica partenopea. Nell’infinita discografia di “Mister Volare” merita un posto di rilievo “Piove” (anche in questo caso più del titolo si ricorda meglio il ritornello “Ciao, ciao bambina”) che vince Sanremo 1959. Composto da Modugno in seguito alla tournée americana del 1958, vide la collaborazione di Dino Verde. Curiosamente, il brano ebbe maggiore successo in Olanda che in Italia: nei Paesi Bassi rimase in vetta alle classifiche per nove settimane, da noi “solo” per sei. Poi “La lontananza”, uno dei brani della seconda parte della sua carriera: datata 1970, nacque dalla collaborazione artistica con Enrica Bonaccorti, coautrice del pezzo.
E ancora “Meraviglioso”, riscoperta grazie alla cover dei Negramaro che ha dato nuova vita a questa canzone ma l’originale di Modugno è un classico intramontabile. Fu incisa nel 1968, ma il successo arrivò con la riedizione del ’71: tre anni prima, infatti, la canzone fu scartata dal Festival di Sanremo. Di quella giuria che bocciò clamorosamente il brano faceva parte anche Renzo Arbore che ancora oggi non riesce a darsi pace di quel giudizio negativo. E infine “Vecchio frac” (inciso nel 1955) che ebbe problemi con la censura. Il verso finale “Ad un attimo d’amore che mai più ritornerà” fu fatto trasformare poiché la commissione di censura sosteneva che le parole che alludessero a contatti fisici erano da considerarsi immorali…
Non c’è, nella storia dello spettacolo del nostro Paese, un artista che sia stato capace di avere un successo così eclatante nella musica e nel teatro, dove dagli spettacoli di Garinei e Giovannini (indimenticabile la performance nella commedia musicale “Rinaldo in campo” al fianco di Delia Scala) alla meravigliosa edizione dell’Opera da tre Soldi firmata da Giorgio Strehler in cui era un perfetto Mackie Messer accanto a Milva. Ma fu capace di lavorare con Eduardo De Filippo e Quasimodo, di cantare “Piange il telefono” e testi di Pier Paolo Pasolini, compresi i titoli di testa di “Uccellacci Uccellini”. Un uomo dal carattere complesso che negli ultimi dieci anni della sua vita fu duramente colpito nel fisico, costretto su una sedia a rotelle: sono gli anni del suo ingresso in politica, eletto prima alla Camera con i Radicali, diventò senatore nel 1990 impegnandosi nella difesa dei diritti dei disabili. La menomazione fisica non gli impedì tuttavia di riprendere la sua attività dal vivo, in esibizioni che erano la dimostrazione di una vitalità fuori dal comune, di un uomo che non si arrendeva a nessun costo alla malattia.
E così è opportuno ricordarlo: un indomito guerriero sul palco e non solo dal quale possiamo imparare soprattutto ad amare la vita, anche quando diventa amara e dura da sopportare.
Buona domenica.
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