Come far accettare il distanziamento? Nell’imminenza del rientro a scuola, la questione è tutt’altro che secondaria, soprattutto per quanto riguarda gli alunni più piccoli. Quelli che, magari per la prima volta, mettono piede in un’aula. In America, Jennifer Birch Pierson (una maestra d’asilo del Texas) ha pensato di trasformare i banchi in automobili con risultati sorprendenti. L’immagine, pubblicata su Instagram, dà proprio l’idea di entrare in un piccolo garage o in una sala giochi, invece che in un ambiente scolastico. Più o meno allo stesso modo si sono comportati Patricia Dovi (35 anni) e Kim Martin (51), insegnanti alla primaria St. Barnabas Episcopal School, a DeLand (Florida: hanno trasformato i banchi in Jeep. “La scuola ci aveva fornito dei pannelli di plexiglass, ma ci preoccupava l’idea che i nostri bimbi si sentissero oppressi – racconta il maestro alla Cnn -. Quando abbiamo incontrato i nostri nuovi studenti per la prima volta, abbiamo dato le chiavi delle loro nuove auto e abbiamo spiegato che ogni volta che ‘escono’ dall’abitacolo devono indossare la mascherina”. Tante proposte con un unico obiettivo: usare un approccio ludico per rendere il distanziamento sociale più a misura di bambino.
E in Italia che succede? In tutta sincerità non si ha notizia di iniziative del genere, ma quel che conta di più è che a due settimane dall’avvio nel nuovo anno scolastico, c’è ancora tanta confusione e mancano indicazioni chiare su che cosa realmente si dovrà fare per il ritorno in classe. Basta scambiare quattro chiacchiere con un qualsiasi operatore della scuola: dirigente, insegnante, personale non docente. La risposta è sempre la stessa: tante idee (alcune delle quali irrealizzabili), ma nessuna indicazione sulla loro applicazione pratica. Per non parlare dei genitori sempre più preoccupati dall’assenza di linee guida chiare e univoche.
Non è il caso di fare polemiche, ma è un dato di fatto oggettivo che intorno alla scuola si sta giocando una partita decisiva che mette in gioco sia la credibilità della Istituzioni che la solidità dell’intero Paese. Lo scorso anno scolastico non poteva concludersi in maniera diversa, vista l’emergenza scoppiata agli inizi di marzo, ma le risorse dovevano essere tutte convogliate per una ripartenza caratterizzata dal ritorno in classe e dalle lezioni in presenza. Così non è stato ed oggi se ne vedono gli effetti. A 15 giorni dalla data fatidica solo tanti annunci, ma basta entrare in una qualunque scuola di qualunque ordine e grado per toccare con mano una realtà che è fatta di molte incognite e pochissime certezze.
Il distanziamento è utopia pura con 24-25 alunni, a meno che non si aumenti la superficie a disposizione: il che è naturalmente impossibile; gli ingressi scaglionati comportano problemi enormi con i trasporti e sono spesso inconciliabili con gli orari di lavoro dei genitori, oltre alla necessità di igienizzare continuamente gli ambienti. E poi chi si assume le varie responsabilità: i presidi non ne hanno alcuna intenzione (d’altronde non sono medici…) e i sindaci hanno ben altro a cui pensare. Un autentico caos che il recente aumento del numero dei contagiati ha ancor di più accentuato.
Come se ne esce? Al momento non lo sa nessuno, ma è proprio il caso di dire che il tempo degli annunci e delle rassicurazioni è ormai scaduto. Servono fatti e basta: lo pretendono milioni di cittadini, grandi e piccoli, che hanno a che fare quotidianamente con l’Istituzione scolastica.
Buona domenica.
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