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La pandemia linguistica generata dal virus

di | 2020-04-17T19:01:52+02:00 19-4-2020 6:40|Attualità, Cultura, Sezione9|0 Commenti

ROMA – Che cosa sia successo alla comunicazione da quando è iniziata l’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus è difficile dirlo ora. Saranno gli storici, i sociologi, i filosofi a spiegarlo quando sarà passato il tempo necessario per vedere a distanza e interpretare il fenomeno. Al momento, però, abbiamo dei numeri, quelli relativi alla presenza del termine “virus” e tutti quelli legati al suo campo semantico (Covid, corona), sugli organi di informazione da quando è iniziata la pandemia. Le cifre le snocciola la dottoressa Francesca Dragotto, tra le altre cose professoressa di Glottologia e Linguistica presso l’Università di Tor Vergata, divulgatrice del sapere linguistico in radio e televisione, autrice di 70 pubblicazioni tra saggi e articoli connessi con la (socio)linguistica e con i sistemi numerali, con la creazione neologica e con i linguaggi della comunicazione.

La Dragotto apre spesso la banca dati del CNR. Lo fa per motivi di lavoro ma anche perché, in fondo, giocare con le parole è la sua passione e così il 7 aprile scorso ha digitato il termine “corona” per vedere l’incidenza di questa parola sulla stampa (un totale di 1400 testate tra giornali, radio e tv), in quel giorno. Una volta inserita la parola il motore di ricerca le ha restituito un risultato che lei stessa, ben avvezza a stranezze relative alla comunicazione e alla lingua, non si sarebbe mai aspettata. “Le parole più ricorrenti – racconta – erano state dieci e, tra queste, tre erano Corona, Covid, virus, comparse in un sol giorno ben 10218 volte nei titoli di giornali. E’ un dato che mi ha lasciato interdetta per la sua enormità, ma anche per altri particolari e non solo perché i tre termini sono uno il sinonimo dell’altro che troviamo presenti, a volte, anche su titolo e catenaccio dello stesso articolo”.

Premesso che per essere sicura del fenomeno la Dragotto ha subito tentato lo stesso procedimento, che le ha confermato identica situazione in date diverse, la stravaganza del dato non sta solo qui: c’è molto di più. “Le altre sette parole – continua la scienziata – erano Presidente, Italia, CNR, italiani, argomenti che risultano solo complementari nella discussione sulla pandemia”. Nella mente sempre in movimento della linguista, numeri del genere hanno fatto scattare subito il ragionamento e anche una preoccupazione. “Questi numeri mi raccontano una storia – spiega la Dragotto – e cioè che in Italia, in questo periodo, lo spazio della comunicazione è stato fagocitato dal virus, o Covid, o Corona che dir si voglia, divenuto centrale e prevalente rispetto a tutto il resto”. Perché – come spiega la docente – anche i termini Presidente (del Consiglio, ovviamente), italiani, Cnr, Italia, sono indicativi del fatto che la questione ha invaso la politica (ma anche tutti i settori che da essa sono regolamentati) in maniera quasi ossessiva. Non c’è nessun altro tema di cui si parli: tutto il resto passa in secondo piano o viene considerato per la sua relazione con il problema. “E’ come se Coronavirus (o i suoi sinonimi) – aggiunge ancora – fosse diventato il centro cui tutto il resto ruota intorno come sua conseguenza. Il protagonista, insomma è sempre e comunque lui”.

Non la vuole dire tutta fino in fondo, la Dragotto, ma poi nella sua schiettezza che nessuno si sente di mettere in dubbio di fronte a tanta autorevolezza, confessa la sensazione che prova di fronte a quelle cifre esorbitanti: “La cosa che mi colpisce di più di tutta questa storia è che nei titoli di questo periodo non mi sembra essere lasciato spazio alle persone: c’è solo lui, il virus, il Corona, il Covid”. Questo aspetto della questione, comunque, è già nei programmi della Dragotto che promette a breve uno studio specifico sul fenomeno, a dir suo un “unicum” nella storia. “E’ successo qualcosa del genere quando ci fu lo Tsunami – ammette – di cui si parlò tanto e a lungo e che è rimasto nella nostra lingua per indicare il maremoto e tuttavia i due fatti non sono paragonabili”. Allora, infatti, si trattò di un evento geograficamente lontano ma che faceva tremare perché proveniva dal mare, un elemento che abbiamo anche noi. “La diversità dei mezzi di informazione a disposizione oggi, tuttavia – chiarisce la docente – non permette di fare un confronto e comunque no, quello cui siamo di fronte mi suona come un fatto nuovo che deve voler dire qualcosa di molto forte, profondo, a livello sociale, culturale, nella storia della nostra civiltà”.

Se lo dice lei possiamo essere ben sicuri che sia vero, conoscendola come una che quando annusa aria di cambiamento nella mentalità o nella cronaca poi riesce a raccontare per filo e per segno come esso sia potuto compiersi e riflettersi sulle parole. “E’ una sensazione – fa notare – ma sono certa che tutto questo corrisponda a qualcosa di più preciso, ad una rivoluzione vera e propria”. Il Coronavirus, infatti, oltre ad aver dimostrato la sua invadenza nel contagio, è entrato anche nello spazio comunicativo, giornalistico e istituzionale cambiando il modo di dare informazioni e costringendo anche il pubblico, probabilmente, a interpretarle in un modo diverso. “Siamo di fronte ad una pandemia linguistica – conclude – tanto virale quanto quella sanitaria”. Cosa stia comportando ancora non è chiaro ma sulle sue conseguenze – e anche sui danni – la Dragotto si ripromette di vigilare. Possiamo aspettarci risultati a breve perché lei, quando si mette in testa una cosa, la fa e la dice. “La conoscenza – è del resto una sua espressione ricorrente – non ha padroni”.

Gloria Zarletti

Nell’immagine di copertina, la professoressa Francesca Dragotto

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