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La morte di Satnam, vergogna da cancellare

di | 2024-06-28T19:01:45+02:00 30-6-2024 5:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

PERUGIA – Nel mangiare una fetta di melone, ho pensato che quello che stavo gustando fosse uno dei frutti raccolti dagli sfruttati del lavoro nei campi, magari dallo stesso Satnam Singh. Non sono riuscito a finirlo quel trancio. Chi è Satnam Singh? Uno schiavo costretto a raccogliere meloni e pomodori, sfiancandosi i reni sotto il sole bruciante, per 3 euro l’ora. E per 12-13 ore al giorno. Niente permesso di soggiorno per il sikh (parola che significa studente, discepolo), ingaggiato (sic) da una azienda della provincia di Latina e sottoposto ai capricci dei caporali, i “kapò” del giorno d’oggi. Spietati e crudeli come i loro predecessori di ogni tempo, di ogni luogo.

Satnam Singh

Non possono non rabbrividire anche i cuori più duri e cinici per la fine di Satnam: il braccio staccato di netto da una macchina agricola, le gambe rotte. Un ennesimo infortunio sul lavoro nei campi, al quale si sarebbe potuto ovviare, almeno in parte, prestando assistenza immediata alla vittima. Oggi la medicina ha compiuto passi da gigante e, in ipotesi certo, si sarebbe potuto riattaccare l’arto. E comunque si sarebbe potuta salvare la vita dello sfortunato raccoglitore di meloni. Sia pure menomato, il lavoratore sarebbe stato restituito alla vita, alla famiglia, agli amici, alla comunità. Invece non solo Satnam non ha ottenuto alcun aiuto, ma è stato lasciato morire da solo impedendo i soccorsi (sembra siano stati requisiti persino i cellulari anche ai suoi amici e compagni di lavoro per evitare che si scoprisse che il sikh lavorava in nero) e abbandonando il braccio in una cassetta della raccolta, lasciata accanto al corpo del ferito. Morto dissanguato, ha chiarito l’autopsia eseguita al San Camillo, dove è stato ricoverato con grave e colpevole ritardo.

Il sikh si è spento lentamente, con chissà quanta disperazione, per la vita che fuggiva via senza che alcuno gli venisse accanto a curarlo, a prestargli le minime, indispensabili, terapie. Una fine paragonabile a quella degli stoici, come Lucio Anneo Seneca o Gaio Petronio Arbitro, che però la sceglievano, sia pure costretti, per evitare una morte ritenuta indegna, non consona al loro status sociale. Per questo motivo non ci sarebbe da meravigliarsi – anzi – se la magistratura finisse per muovere ai responsabili una accusa non di omicidio colposo, bensì volontario. Ed aggravato. Già una morte sul lavoro, di per se stessa, lascia sgomenti al giorno d’oggi, figuriamoci una fine toccante, agghiacciante come quella riservata, da dei veri e propri aguzzini, allo sfortunato sikh. Soltanto soggetti senza un minimo di etica, di rispetto per l’altro, di comprensione umana, di compassione possono arrivare a consumare un reato come quello che si profila abbiano commesso i datori di lavoro ed i “capoccia” in quella che è stata chiamata Terra di Lavoro e che, invece, come molte altre zone italiane, dovrebbe venire indicata con il termine di terra di schiavisti.

Sembra impossibile che in un paese democratico dell’Occidente, possano ancora esistere e conquistino spazio in sacche di territorio – in particolare nelle campagne e non solamente del sud – in cui si pratica, ad opera di negrieri senza scrupoli, una sorta di servitù della gleba: sfruttamento, paghe misere, abitazioni – quando ci sono – al limite della sopravvivenza. Questi aguzzini del nostro tempo – datori di lavoro e soprintendenti – auguriamoci vengano colpiti come meritano dalla giustizia. Non soltanto perché episodi del genere non si ripetano più, ma perché la tirannia sui lavoratori “sans papier”, senza documenti, senza diritti, cessi una volta per tutte. Alle coscienze civili: guai a dimenticare il nome e la dolorosa storia di Satnam Singh, 31 anni, emigrato dal Punjab, nord ovest dell’India, al confine con il Pakistan, sposato e padre di due bambini.

Che questo nome rimanga come emblema di una feroce sopraffazione da cancellare dalla faccia della terra. Pure noi cittadini comuni e consumatori faremmo bene a darci una svegliata per non diventare, nostro malgrado, complici degli cinici oppressori moderni. Bandiamo le ipocrisie. Cerchiamo di capire da dove proviene, da chi lo produce e come viene raccolto il cibo che acquistiamo in negozio o nei supermercati. E magari rifiutiamo di comperare frutta, verdura e quanto altro che sia immesso sul mercato da aziende quanto meno sospette.

Elio Clero Bertoldi

Nell’immagine di copertina, la protesta della comunità sikh per la morte di Satnam Singh

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