ROMA – “C’erano una volta un re e una regina”. Così cominciano tutte le fiabe e, anzi, questo incipit è proprio un requisito per riconoscerle da quando lo studioso Vladimir Propp, all’inizio del 1900, elaborò il famoso “schema” che, con 31 funzioni, compone racconti di questo genere. Ma, forse, quale fu il modello della maggior parte delle fiabe che conosciamo non tutti lo sanno. Ebbene, tutto iniziò nel II secolo d.C, quando Apuleio nelle sue “Metamorfosi” scrisse la “fiaba delle fiabe”, la storia d’amore più nota e romantica di sempre traendo ispirazione da un antico mito (sembra iranico), che diventò con lui un cult: Amore e Psiche. Una storia affascinante, con tanti colpi di scena ed un lieto fine, quello dei due innamorati divenuti nel tempo fonte di ispirazione di tanta psicologia, storia dell’arte ma soprattutto di Antonio Canova che ne scolpì numerose versioni, tutte splendide.
Lo schema della fiaba è semplice e ce ne ricorda altre che abbiamo sentito raccontare e ancora raccontiamo: Amore e Psiche sono due amanti che vengono separati e poi, al termine di un lungo percorso, si ritrovano per non lasciarsi mai più e forse per questo la loro vicenda piace tanto e risulta attuale in ogni epoca. Psiche ha per genitori un re e una regina, brave persone che hanno già trovato marito ad altre due figlie, ma lei è per loro una fonte di preoccupazione: nessuno ha l’ardire di chiederla in sposa perché è troppo bella. Lo è a tal punto da diventare oggetto di invidia della stessa Venere che la vorrebbe addirittura morta. Suo figlio Cupido (Amore), però, quando la vede ne rimane folgorato, la rapisce e la porta a vivere di nascosto nel suo castello dorato dove a lei è permesso stare con lui solo di notte, al buio. Il patto prevede che i due si amino senza mai guardarsi.
Per Psiche, all’inizio, questo non è un problema perché sta vivendo un gioco, un momento magico: cosa avrebbe potuto desiderare di più di quel bel castello con tutti gli agi e un amante che si infila ogni notte nel suo letto, anche se non lo può vedere? Si sa, però, che la natura umana è sempre insoddisfatta e ben presto anche nella bella sposina subentra la routine, un tarlo inizia a roderla. A istigarla sono le sorelle, probabilmente un po’ invidiose della insolita sorte che le è capitata. La inducono a infrangere il patto e a fare chiarezza sulla natura a dir poco stravagante di quell’amante misterioso, sicuramente affascinante ma troppo poco presente in casa. Psiche non ci pensa due volte: la notte fa luce sul dio addormentato e, mentre rimane colpita da un corpo così perfetto con in più un bel paio d’ali bianchissime, involontariamente lo sveglia con una goccia d’olio bollente caduta dalla lampada. Lui, infuriato, la abbandona perché lei ha tradito il patto più sacro di tutti: è il patto d’amore che non è scritto ma è inviolabile.
A questo punto Psiche sarebbe morta, rimasta sola e senza aiuto da nessuno. Ma Venere le propone una sfida: superare durissime prove per poter ritrovare suo figlio. Psiche accetta, del resto non ha nulla da perdere ma il percorso è difficile, pericoloso e pieno di insidie. A volte cade, poi si rialza, rischia di morire ma alla fine ce la fa, vince lei. Cupido la cerca, la salva e anche Venere deve accettare questo epilogo, quello che fin dall’inizio avrebbe voluto evitare. La storia giunge al termine. Con quali parole, non è difficile prevederlo neanche a chi non conosce la storia: Amore e Psiche “vissero felici e contenti”.
La fiaba, con molti dei suoi elementi caratteristici, è al completo ma non è nata per i bambini, come si è sempre pensato di questo genere di racconti anche se i piccoli sono i primi ad usufruirne. L’opera di Apuleio, con il suo significato simbolico, ha da secoli raccontato – e tuttora racconta – che non basta la bellezza e un incontro di corpi per trovare l’amore ma è necessaria una purificazione che può avvenire solo attraverso tante difficili prove cui ci pone davanti l’esistenza e attraverso le quali si formano la nostra esperienza e la nostra consapevolezza di essere vivi.
Nella storia raccontata da Apuleio c’è un “prima”, in cui i due protagonisti sono abbagliati reciprocamente dalle loro rispettive bellezze fisiche. Questo, però, non basta perché ci sia tra loro un sentimento autentico e quindi c’è anche un “dopo”. Le prove di resistenza cui viene sottoposta la protagonista femminile rappresentano i dolori, le sofferenze e la fatica cui ci pone di fronte la vita e attraverso cui noi raggiungiamo chi in verità siamo. La fiaba vuole dirci che solo così, puri, si può incontrare l’amore: tutto il resto è un abbaglio.
E’ lo schema di ogni fiaba da cui probabilmente hanno tratto spunto molti racconti della tradizione popolare: Cenerentola e Biancaneve messe per iscritto dai fratelli Grimm, la Bella e la Bestia di Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, il Gatto Mammone raccontato dagli anziani in Abruzzo e Molise, Bellina e il Mostro, e il Lucertolone che mi raccontavano mio padre e mia madre. Tutte storie tramandate davanti al camino e oggi diventate cartoni in cui, al termine di grandi fatiche e sofferenze, l’amore vince ma solo se è quello vero. E’ un messaggio che vale sempre, fin dalla notte dei tempi e per questo tutti la vogliono sentire raccontare, questa storia. E per chi non l’abbia capita fino in fondo, un’ultima cosa: Psiche in greco significa farfalla ma anche mente e, soprattutto, “anima”.
Gloria Zarletti
Nell’immagine di copertina, la statua di Amore e Psiche scolpita da Antonio Canova e conservata al Louvre
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