Del mio primo giorno di scuola alle elementari ricordo ben poco. Non ricordo le lacrime che sicuramente non ci sono state, non ricordo il nodo alla gola nel veder andar via mia madre dopo che mi aveva accompagnato in classe, forse un po’ di nostalgia per l’estate appena trascorsa. Quella sì, ma niente di più. D’altronde nei due anni precedenti avevo frequentato l’asilo – a quel tempo così si chiamava la scuola materna – dalle suore che sicuramente nel forgiare con durezza il carattere dei bambini non erano seconde a nessuno.
Ricordo, però, il grembiule. Sì il grembiule. Fresco di bucato, ben stirato, nero, il colletto bianco e il grosso fiocco azzurro. Una divisa che mi dava importanza, dimostrava che ero entrato nella scuola vera, che ero diventato grande.
La scuola “Cesare Laurenti” in via XVI Settembre a Civitavecchia distava non più di un chilometro da casa mia, alla periferia nord della città. Un percorso che tutti i giorni facevo a piedi (l’auto nella mia famiglia arriverà molti anni dopo) accompagnato da uno dei miei due fratelli, da mia madre o, di rado da mio padre.
Di una cosa, però, ho un ricordo molto solido: dopo la prima settimana di frequentazione ero già innamorato della mia maestra. “E’ bella, è buona, è dolce e brava”, raccontavo al mio rientro a casa. Ne ero così orgoglioso che non potevo fare a meno di parlare di lei.
Poi mio fratello, Massimo, di cinque anni più grande di me, ha cominciato a prendermi in giro per farmi arrabbiare. “Ma quale bella, la tua maestra – mi diceva – è bruttissima, è cattiva e ha il muso da cavallo”. E io gli rispondevo: “No, no, è bellissima e buona, è la maestra più bella del mondo”. E lui, mio fratello, ci prendeva gusto, insisteva fino a farmi piangere.
A quel punto interveniva mia madre che zittiva Massimo e consolava me. “Ma sì, è vero, la tua maestra è la più bella del mondo”. E tornava la pace. D’altro canto si sa, “non è bello ciò che è bello ma…” come diceva il buon Frassica “che bello, che bello, che bello”.
Tre anni dopo cambiai casa e mi trasferii in un’altra zona della città. Cambiai anche istituto scolastico passando all’elementare “Alessandro Cialdi” in via Buonarroti. E mi ritrovai come insegnante un maestro grande e grosso, calabrese e con tanto di baffi. Decantato il periodo di via XVI Settembre e soprattutto riguardando le foto di classe fatte in quei tre primi anni di elementare mi resi conto che la mia maestra a dire la verità non era poi così bella come la ricordavo. In effetti il viso un po’ da cavallo c’era, gli occhi non erano così dolci come anni prima andavo sbandierando, i capelli nero corvino non le davano un aspetto tanto rassicurante.
Deluso e amareggiato mi consolai facendo il paragone con il nuovo maestro, quell’omone che metteva paura solo a guardarlo. E che per tenerci a bada e farci studiare utilizzava una bacchetta di legno, durissima, che ti sbatteva sulle mani facendoti un male tremendo. Di lui ricordo ancora il cognome, Buccafurni, lo ricordo con affetto e orgoglio quando, operatomi di appendicite, mi venne a trovare nella clinica che si trovava proprio davanti alla scuola facendomi diventare l’alunno più importante della classe.
terza elementare, maestro Buccafurni, elementari via Buonarroti, il maestro doveva farsi i cazzi suoi e aveva messo il capoclasse a scrivere sulla lavagna i buoni e i cattivi , li scriveva a suo piacimento, alcuni dei ” cattivi” si rivolsero a me in quanto vice per farlo ragionare come risposta mi ritrovai tra i cattivi , uno in particolare che continuava a lamentarsi con me gli dissi ad alta voce che cosa gli importasse se stava tra i cattivi tanto non cambiava niente, all’uscita il maestro si è messo di lato alla porta e quando sono arrivato io quella bacchetta che tu hai tanto adorato me l’ha data così tante volte sul dorso della mani , aspettando una smorfia di dolore che non c’è mai stata. quando sono arrivato a casa non riuscivo a piegare le mani, mia madre mi ha imboccato e fatto i bagnoli di acqua fredda e creme per riprendere la motilità delle mani . La mattina successiva , mia madre con calma mi disse che in classe mi avrebbe accompagnato lei, come arrivati mi disse di andare al posto poi chiamò il maestro e davanti a tutta la classe cominciò a prenderlo a schiaffi e manrovesci con la stessa continuità delle sue bacchettate, da quel giorno io in classe ero un fantasma, l’unico anno che sono stato bocciato in vita mia. con la felicità mia e di mia madre poiché cambiavo insegnante