Di se stesso dice che il suo sogno era diventare pianista. In realtà, sin da giovanissimo, Sergio Rubini, la recitazione e il teatro ce li aveva dentro. Almeno per come lo ha conosciuto chi scrive: lui studente liceale (scientifico di Altamura), io con qualche anno in più all’università (facoltà di Scienze, corso di laurea in Fisica). L’incontro avvenne nel comune paese natio: Grumo Appula, in provincia di Bari. In un paesino di diecimila anime (o poco più), non è che le occasioni di svago fossero tante, almeno all’epoca. E dunque fu abbastanza naturale la frequentazione della filodrammatica “Amici dell’Arte”, creata da Vito Fazio, che poi ne fu sempre il direttore artistico e che nella vita faceva il segretario della scuola elementare. Fu quello il luogo del primo incontro, anche se in realtà l’amicizia nacque soprattutto con Alberto Rubini (il papà di Sergio), capostazione delle Ferrovie Calabro Lucane, pittore dilettante e attore di belle qualità. Indimenticabile, almeno per me, una sua straordinaria interpretazione del pirandelliano “L’uomo dal fiore in bocca“.
Loro avevano già portato in scena qualcosa; io ci arrivai per caso, letteralmente trascinato da mia cugina Maria Colonna, e poi recitai come protagonista principale in due commedie: “Ma non è una cosa seria” di Pirandello e “La miliardaria” di George Bernard Shaw. Le mie frequentazioni teatrali si fermano lì. Non solo perché non mi sentivo particolarmente portato, ma anche perché per una serie di dissapori e di piccole gelosie tra Vito e Alberto, si arrivò ad una scissione che di fatto mise fine a quell’esperienza teatrale. Sergio, no: lui aveva qualcosa di più e di meglio. Pur essendo ancora un ragazzino, calcava la scena con la maestria di un veterano, aveva i tempi giusti, sapeva cogliere l’attimo anche improvvisando qualche battuta. Insomma, anche un profano (come me) si accorgeva che quel ragazzino da grande avrebbe fatto l’attore. E sarebbe stato pure molto bravo.
E dunque non fu affatto sorprendente la sua decisione di iscriversi, dopo la maturità, all’Accademia di Arte Drammatica a Roma. La frequentò due anni e poi l’abbandonò. Nel frattempo aveva conosciuto proprio in quelle aule il grande Andrea Camilleri che ci insegnava una qualche materia. E cominciò, spinto dallo scrittore siciliano, la sua splendida carriera di attore che oggi, a 62 anni appena compiuti, ha trovato il suo fondamentale punto fermo con la regia de “I fratelli De Filippo”, in onda qualche giorno fa su RaiUno. Una prova convincente, va detto senza indugio. E non per piaggeria (Sergio Rubini non ne ha bisogno), ma per la qualità di un’opera che, senza reticenze o infingimenti, racconta l’avventura (artistica e umana) di Annunziata (detta Titina), Eduardo e Giusepppe (detto Peppino).
I tre, figli illegittimi di Eduardo Scarpetta (commediografo e autentico fondatore del teatro napoletano), nacquero da una relazione che il grande attore ebbe con Luisa De Filippo: non li riconobbe mai e non li citò nemmeno nel testamento. A Luisa aveva assicurato che per quei tre ragazzi aveva preparato tre buste da consegnare alla sua morte; in realtà, pare che quelle buste fossero realmente pronte, ma la moglie legittima Rosa De Filippo (interpretata sullo schermo da Marisa Laurito, di cui Luisa era nipote) e il figlio Domenico le fecero sparire pur di non darle agli altri eredi. Questo episodio costrinse i tre De Filippo ad avere un ruolo subalterno nella compagnia dell’altro figlio legittimo Vincenzo che aveva ereditato l’intero bagaglio artistico del padre.
E’ una situazione che Eduardo soprattutto mal sopporta. E così decide di lasciare Napoli per essere scritturato a Milano; inizialmente propone a Peppino di seguirlo, ma all’ultimo momento il fratello rinuncia al contratto per prendere il suo posto nella compagnia di Vincenzo: questo segna la prima grande frattura tra i due, destinata a non sanarsi mai del tutto. Mentre Eduardo è a Milano, Peppino dimostra un talento recitativo perfino maggiore di quello del fratello; Titina, intanto, viene notata perfino dal grande Totò. I De Filippo hanno stoffa e vogliono dimostrarlo. Eduardo è convinto che in teatro va portata la vita d’ogni giorno e così scrive il suo primo atto unico Sik Sik, l’artefice magico. L’accoglienza del pubblico è favorevole e questo induce Eduardo ad insistere sulla strada dell’affrancamento dagli Scarpetta.
Le traversie, però, non mancano: una tournée in Sicilia si rivela disastrosa e sfocia in una ulteriore rottura tra i due fratelli maschi, con Titina che tenta disperatamente e inutilmente di mediare. In qualche modo, però, la frattura si ricompone soprattutto quando Eduardo comincia a scrivere il suo primo grande capolavoro Natale in casa Cupiello. Durante i preparativi tra i fratelli scoppia un altro litigio, in seguito al quale Peppino abbandona il teatro a pochi minuti dall’entrata in scena. Fuori trova ad attenderlo Vincenzo: tentato di seguirlo, Peppino vede però la locandina dello spettacolo, sul quale campeggia la scritta i Fratelli De Filippo, fortemente voluta da Eduardo. L’uomo ricorda allora quando, da bambino, Eduardo e Titina gli avevano spiegato cosa significasse fare teatro, includendolo nelle loro rappresentazioni casalinghe: commosso, fa ritorno sul palcoscenico e porta a termine la commedia. Natale in casa Cupiello riscuote un enorme successo, e sarà il punto di partenza per la leggendaria carriera dei De Filippo. I tre fratelli reciteranno insieme fino al 1944, quando si separeranno definitivamente in seguito all’ennesimo litigio tra Eduardo e Peppino; Titina si affermerà come artista e attrice nelle commedie scritte apposta per lei dal fratello (fu lei la prima straordinaria Filumena Marturano); Peppino diventerà a sua volta un commediografo e intraprenderà una fruttuosa carriera nel cinema; Eduardo diventerà uno dei più influenti drammaturghi del Novecento (Napoli milionaria, Questi fantasmi, Sabato domenica e lunedì, Non ti pago sono solo alcune delle sue opere più famose, rappresentate in tutto il mondo).
Sergio Rubini dirige con mano sapiente un eccellente mix di attori affermati e di giovani rampanti: Giancarlo Giannini dà un’ulteriore prova della sua straordinaria bravura interpretando Eduardo Scarpetta; Biagio Izzo, finalmente libero dai cliché dei cinepanettoni, è un convincente Vincenzo Scarpetta; eccezionale Susy Del Giudice nel ruolo di Luisa De Filippo; Mario Autore, Domenico Pinelli e Anna Ferraioli Ravel sono rispettivamente Eduardo, Peppino e Titina e se la cavano più che egregiamente. E’ davvero un bel film e chi lo avesse perso (al cinema o in tv) può sempre usufruire di RaiPlay. Con Rubini, a collaborare nella sceneggiatura, Angelo Pasquini e Carla Cavalluzzi, sua compagna nella vita e natia anch’ella di Grumo Appula.
Bravo, anzi bravissimo, Sergio: amico di gioventù e di un tempo che non torna più.
Buona domenica.
Ps. In quasi cinquant’anni, ho rivisto una sola volta di persona Sergio Rubini. Lui era ospite dell’Est Film Festival di Montefiascone dove presentava una sua opera. Complice il traffico e l’assenza di parcheggio arrivai sul luogo della proiezione in clamoroso ritardo. Sfruttando il mio tesserino di giornalista, riuscii ad entrare nel retropalco. “Sergio, ti ricordi di me?” e lui voltandosi esclamò sorpreso: “Quanto tempo è passato…”. “Sergio, tocca a te: siamo già in ritardissimo”: la voce di una sorta di buttafuori non ammetteva repliche. Il nostro incontro finì lì: era durato una trentina di secondi al massimo.
Nell’immagine di copertina, Sergio Rubini con gli attori che interpretano i fratelli De Filippo
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