E’ complicato dare un giudizio sulla manovra economica presentata dal governo e già soggetta ad una valanga di critiche e, nello stesso, a solenni peana di approvazione. La difficoltà deriva non solo dallo scarse competenze di chi scrive in materia economica, ma soprattutto dal bombardamento mediatico che arriva dall’un campo e dall’altro. Impossibile districarsi tra le lodi sperticate che arrivano dai sostenitori dell’esecutivo giallo-verde (che peraltro gode di una crescente fiducia da parte dei cittadini) e tra i moniti costanti e severi dell’Unione europea. E’ il caso, comunque, di sgomberare immediatamente il campo dalle faziosità: così non si va da nessuna parte. Bisogna dunque cercare di lasciarsi guidare dal buonsenso. Che è categoria alla quale raramente si ispirano e si sono ispirati sia i governanti di casa nostra che gli euroburocrati di Bruxelles.
Come si comporta il buon padre di famiglia in situazioni di questo genere? Di solito, se ha la testa sulle spalle, non fa il passo più lungo della gamba in base ad un ragionamento molto semplice: siamo oberati di debiti (come l’Italia) e non possiamo permetterci di farne ulteriori, altrimenti il rischio concreto è di andare in bancarotta e di non essere più nelle condizioni di poterlo ripagare. Perciò stringiamo la cinghia, limitiamoci alle spese indispensabili e cerchiamo di ridurre almeno un po’ la massa di denaro che dobbiamo restituire. Chi governa, però, ragiona in modo diverso: facciamo altri debiti e cerchiamo di far crescere economia e posti di lavoro. Così saranno le migliori condizioni economiche generali di aziende e famiglie a consentire di ripianare il debito. Entrambi i ragionamenti non fanno una piega. Solo che ci sono vincoli e leggi da rispettare e su questo non ci piove.
E allora come se ne esce? Il governo ha la necessità di rispettare i tanti impegni presi in campagna elettorale (tutti importanti e tutti onerosi), altrimenti rischia di essere spedito velocemente a casa. Ma in definitiva a bocciare o a promuovere la manovra non saranno né l’Europa (spesso inetta e inutilmente formale), né Moscovici (il commissario europeo agli affari economici che adesso predica bene, ma razzolava malissimo quando era ministro a Parigi), né le agenzie di rating (che pure hanno il loro peso negli scenari globali). A sancire bocciatura o promozione saranno semplicemente i mercati che giudicano e lavorano in base ad un principio sancito da un paio di migliaia di anni fa: pecunia non olet. Cioè il denaro non ha odore e serve solo a produrne altro.
In estrema sintesi, se i mercati nella loro intierezza decideranno di dare altro credito all’Italia e ai suoi attuali amministratori, lo faranno e si faranno pagar caro il denaro che presteranno. Così come si comporta un qualunque istituto di credito quando andiamo a chiedere il mutuo per acquistare un appartamento. Se siamo credibili e solvibili, ce lo concedono presto e a buone condizioni; altrimenti lo rifiutano o impongono interessi assai pesanti. Questo accadrà quando finalmente i numeri saranno definitivi e magari pure diventati legge.
E’ bene però non farsi illusioni: se e quando sarà concessa ulteriore fiducia al sistema Italia, il prezzo da pagare sarà salato. Che il presidente del Consiglio sia Renzi o Conte o Gentiloni o Berlusconi, la sostanza non cambia: pecunia non olet e basta.
Buona domenica
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