La libertà di stampa è davvero così seriamente minacciata in Italia? Secondo l’annuale classifica stilata da Reporter senza frontiere (Rsf), la risposta è sì, senza ombra di dubbi. Il nostro Paese, infatti, perde ben 17 posizioni, passando dalla 41. alla 58. posizione. La principale causa di tale vistoso calo sta nelle minacce ricevute dai giornalisti (secondo il Viminale, nel primo trimestre del 2022 sono stati registrati 44 atti intimidatori, in calo comunque rispetto ai 63 dello stesso periodo del 2021: il 27% delle intimidazioni avviene via web, nella maggior parte tramite i social) e nel numero abbastanza elevato di operatori dell’informazione costretti a vivere sotto scorta.
Sicuramente una situazione seria e complicata, da monitorare con costanza e attenzione, ma da circoscrivere alle reazioni anche violente della malavita organizzata che mal digerisce chi descrive con coraggio la realtà. E qui c’è una sola strada: l’intervento dello Stato con tutti i suoi apparati di prevenzione e di repressione. In un Paese democratico e libero, qual è il nostro, non può che funzionare così. Con il corollario, non secondario, che tutti noi come cittadini abbiano il dovere civico e morale di non girare la testa dell’altra parte e di denunciare con vigore gli illeciti e le storture (anche quelle che sembrano più banali e tollerabili). Poi toccherà a magistratura e Forze di polizia intervenire, indagare, processare ed eventualmente condannare i colpevoli.
Il tema della Libertà di Stampa torna d’attualità il 3 maggio di ogni anno quando si celebra la Giornata Mondiale, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1993, su raccomandazione della Conferenza Generale dell’UNESCO. La data fu scelta per ricordare l’anniversario della Dichiarazione di Windhoek che contiene importanti principi sul pluralismo e la libertà di espressione. Il 3 maggio, viene assegnato il premio UNESCO per la libertà di stampa, intitolato a Guillermo Cano Isaza (giornalista colombiano assassinato il 17 dicembre 1986 a Bogotà, davanti agli uffici del suo giornale El Espectador) del valore di 25.000 dollari, che premia i contributi eccezionali alla difesa o alla promozione della libertà di stampa, in particolare di fronte al pericolo.
Quest’anno il riconoscimento è andato all’Associazione dei giornalisti della Bielorussia (AJB). Fondato nel 1995 come ente non governativo di lavoratori dei media, con l’obiettivo di promuovere la libertà di espressione e il giornalismo indipendente, l’associazione riunisce più di 1300 giornalisti: nell’agosto 2021, dopo una perquisizione della polizia nei suoi uffici, la Corte Suprema della Bielorussia ha ordinato lo scioglimento dell’organizzazione, su richiesta del Ministero della Giustizia. Il premio sarà consegnato nel corso di una cerimonia a Punta Del Este, in Uruguay.
“In questa Giornata della Libertà di Stampa, preghiamo insieme per i giornalisti che hanno pagato di persona, con la vita o con il carcere, per servire questo diritto. Un grazie speciale a quanti di loro, con coraggio, ci informano sulle piaghe dell’umanità”, commenta papa Francesco. E il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aggiunge: “La libertà di stampa, insieme alla libertà di essere informati, è il termometro della salute democratica di un Paese”.
I primi tre della classifica Rsf sono Norvegia, Danimarca e Svezia. Alla Germania va il 16. posto, mentre la Francia guadagna ben otto posizioni, piazzandosi al 26. scalino. Gli Stati Uniti arrivano alla 42. posizione, l’Italia alla 58. (come detto), il Giappone alla 71., l’Algeria alla 134.. In fondo all’Index si trovano Iran, Eritrea e Corea del Nord. Globalmente Rsf ha riscontrato un forte peggioramento della libertà di stampa, in particolare in quasi tutto il continente asiatico, classificato in una situazione “molto grave”. Nel giro di un anno ben 12 Paesi asiatici sono entrati in questa cerchia nera, che non è mai stata così grande e di cui, tra gli altri, fanno parte Afghanistan e Bielorussia. La Cina è al 175. posto della classifica, confermandosi come un regime sempre più repressivo, anche se a fare peggio è la Corea del Nord, ultima in assoluto. La Russia, osservata speciale dall’inizio dall’invasione dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio, si attesta al 155. posto, in calo di cinque posizioni rispetto al 2021.
“Uno dei limiti principali della classifica di Rsf – commenta Laura Loguercio su Pagella Politica – sta nel carattere abbastanza soggettivo delle valutazioni, almeno per quanto riguarda la parte basata sui questionari. L’elenco esatto delle persone coinvolte non è disponibile pubblicamente, ma è inevitabile che le loro risposte siano basate sulle esperienze personali e sugli standard culturali e sociali del luogo in cui sono abituati a lavorare. Un giornalista che opera in un contesto di guerra ha certamente un’idea di ‘sicurezza’ diversa da chi lavora in Paesi come la Norvegia o la Svizzera. Inoltre, non è detto che ogni professionista chiamato a rispondere sia esperto in tutte le tematiche trattate dal questionario – che vanno dal contesto legale a quello socio-culturale – e quindi potrebbe fornire, seppur non intenzionalmente, risposte poco accurate. Un altro elemento contestato nel funzionamento della classifica di Rsf sta nel fatto che questa non misura la situazione relativa alla libertà di stampa in termini assoluti, ma si limita a dare conto di come ogni Paese si pone rispetto agli altri”.
La questione è dunque complessa, ma non c’è dubbio che i “segnali” evidenziati da Rsf vadano valutati e pesati con attenzione, al di là delle polemiche legittime sulla maniera con cui viene condotta l’indagine. Che, nel mondo, i giornalisti spesso siano visti come “nemici” è un dato di fatto. E questo non è un bene per ogni cittadino. Ovunque si trovi.
Buona domenica.
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