MILANO – Natale per i Cristiani è la festa di Dio che si rivela in terra: il Vangelo di Luca tramanda che quando Cesare Augusto ordinò il censimento di tutto l’impero anche Giuseppe si recò in Giudea, verso la città di Davide chiamata Betlemme per farsi registrare con Maria, sua sposa e che, mentre erano là, “si compì per lei il tempo del parto ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia”. I pastori accorsi con i loro doni “Videro in panni avvolto//In un presepe accolto//Vagire il Re del Ciel”, come scrive liricamente Alessandro Manzoni ne “Il Natale”.
La nascita di Cristo è descritta con grande semplicità, sia nel testo laico sia in quello religioso, perché essa è nel contempo espressione del patto ritrovato tra Dio e l’umanità, ma soprattutto del grande amore di un Dio che si fa uomo in una misera grotta e non già in un palazzo dorato di potenti o prepotenti per assurgere ad emblema, oltre che di fede, di giustizia sociale ed amore; Papa Francesco sottolinea che con la nascita di Gesù è nata una promessa nuova, è nato un mondo nuovo, ma anche un mondo che può essere “sempre rinnovato”.
Non è storicamente accertato che la data del Natale cada esattamente il 25 dicembre, le ipotesi suggeriscono una volutamente ricercata coincidenza con il pagano Dies Natalis Solis Invicti (Giorno di nascita del Sole Invitto), festa che veniva celebrata nel momento dell’anno in cui la durata del giorno si allunga dopo il solstizio d’inverno: la rinascita, appunto, del sole. Spesso la ritualità della tradizione cristiana si lega a quella popolare e contadina e, più in specifico in ambito italiano, a quella del mondo latino; in questo caso ai Saturnalia che si celebravano dalla fine di novembre sino al 23 dicembre in onore di Saturno che, cacciato dall’Olimpo, aveva posto la sua dimora nel Lazio dando inizio all’età dell’oro (aetas aurea).
La festa aveva un duplice valore: da una parte essa rappresentava una sorta di rovesciamento della realtà che sovvertiva i rapporti sociali in nome dell’eguaglianza e della fratellanza umana al punto che gli schiavi (servi) in quei giorni vivevano come e con i padroni (patroni) ed uno di loro veniva perfino nominato re (princeps Saturnalicius). Era inoltre consentito che il potere e le istituzioni venissero irrisi con atti e personaggi anche volgarmente irriverenti, aspetto questo che è ancora vivo in alcune maschere della tradizione popolare e che rende i Saturnalia più vicini al Carnevale. Seconda caratteristica della festività latina era lo scambio di doni: pietanze d’ogni genere, piccole statuette (sigilla o sigillaria) acquistate nei mercatini che si tenevano per le strade, candele a ricordare la luce del regno di Saturno.
Nelle settimane immediatamente successive, durante le Calende di Gennaio (i primi giorni del mese), era consuetudine scambiarsi le strenae (da qui l’espressione strenne natalizie) costituite da ramoscelli sacri di alloro o di olivo, fichi e miele; si onorava in questo modo la dea dei boschi Strenia e si formulavano gli auguri per il nuovo anno. Tutte queste tradizioni, in maniera più tangibile, sono ricollegabili allo scambio di doni ancora oggi presente nei rituali natalizi, proprio come i pastori che si recarono ad onorare il Bambinello con i loro umili manufatti ed i Re Magi che offrirono oro, incenso e mirra.
Nessun riferimento al valore cristiano del Natale, in quanto la similitudine va cercata esclusivamente nella ritualizzazione dell’atto del donare con cui, da sempre e in ogni consesso, si rinsaldano i rapporti che legano i gruppi e gli individui dello stesso ambiente e con cui si manifesta l’amore verso i congiunti. Andrebbe rivissuta, pertanto, forse in maniera diversa la cosiddetta corsa al regalo che ormai scandisce le giornate dell’Avvento. Il donare, il dare hanno alla base la reciprocità, l’affetto, la condivisione e la conoscenza dell’altro, nulla a che spartire con il luccichio della inutilità e della fantasmagorica vacuità della gran parte dei doni natalizi, spesso espressione solo di consumismo, di condizionamenti pubblicitari, di ostentazione di status ed in definitiva quasi privati di valore affettivo.
Natale è anche l’occasione per celebrare la gioia di stare insieme agli altri, agli amici o alla famiglia, con le serate delle lunghe tombolate e dei giochi da tavolo, della condivisione del cibo e dei dolci diversi ma presenti in ogni regione, rigorosamente fedeli alla ricetta della nonna. Durante i Saturnalia, dopo il sacrificio solenne nel tempio di Saturno, si teneva un convivium publicum (banchetto pubblico) che si concludeva con un brindisi in onore di Saturno, si pensi ai ritrovati festeggiamenti di piazza, dopo la pandemia. Seguivano i banchetti nelle case private con parenti ed amici, durante i quali le tavole venivano imbandite con ogni leccornia e vini pregiati, la serata si concludeva con il gioco dei dadi.
Natale è il giorno della malinconia in cui tutti ricordano con maggiore sofferenza le perdite che li hanno segnati, della nostalgia di tutto ciò che hanno amato e a cui sono stati legati nel passato. Natale è la solidarietà e la fratellanza verso la sofferenza di quella parte dell’umanità “al freddo e al gelo” per la guerra, per la repressione, per quel morire in solitudine nel buio di un mare profondo e sconosciuto o sull’asfalto ghiacciato dei marciapiedi delle città illuminate a festa.
Natale è la gioia e lo stupore negli occhi di tutti i bambini che scartano felici i doni che hanno richiesto a Babbo Natale che (sì!) alla fine è passato dalle loro case, esaudendo i loro desideri ed ha anche mangiato i biscotti e le carote che avevano lasciato, come ringraziamento, sul balcone per lui e le sue renne venute dal freddo del lontanissimo Polo.
Natale è la magia della speranza dell’umanità intera, al di là di ogni diversità, che finalmente possa realizzarsi una vita migliore e che tutti sempre e ovunque possano vivere nel mondo che hanno sognato. Speriamo che ci pensi Babbo Natale.
Adele Reale
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