È un addio amaro, quello che sto per dare alla scuola e ai miei alunni dopo tanti anni. Questa domanda me l’aspettavo, anche il tono euforico e spavaldo: “Si ricorda quello che le avevo detto, prof?”. Me lo ricordavo, sì. Era il mio ormai ex alunno quello che mi poneva la domanda. Uno di quelli senza libro né quaderno, senza mai i compiti fatti. Il libro glielo avevo regalato io. Se lo era perso subito. Di nuovo, di suo, non faceva niente. Anzi. A pensarci bene qualcosa faceva. La confusione. Disturbava chi voleva studiare. Si nascondeva sotto i banchi. “Tanto non mi potete bocciare”, diceva con aria di sfida. “Vedremo”, rispondevo io. Infatti ho visto. Io. Promosso con cinque insufficienze.
A dire la verità sarebbero state otto ma alcuni colleghi hanno “ceduto”. Per paura di pressioni, ricorsi, denunce, minacce di genitori inferociti. “Mia madre la farà piangere”, mi aveva avvisato uno di questi fenomeni. Una madre che dovrebbe essere il simbolo di autorevolezza, una guida, un esempio, ha dato ragione al figlio. Gli ha regalato la sensazione di onnipotenza, di impunità. Il suo è stato un modello, sì, ma di straffottenza.
La stessa che un giorno si potrà rivolgere contro lei stessa. “I genitori diventano le prime vittime dei vizi che danno ai figli”, ho cercato di spiegare. Ma le madri dei ricorsi in tribunale non ci pensano. Nemmeno quando il figlio viene espulso per aver minacciato il docente con il coltello: “Che vuoi che sia? Una bravata”, si dice e si pensa. Ma non è così. Un alunno che spara una pallina di plastica contro un insegnante lo fa perché ha la certezza di essere difeso. Non soltanto dalla mamma. Non soltanto dal papà. Sarà difeso dai professori stessi che come premio gli daranno il 9 in condotta. Non è solo la cronaca di questi giorni. È quello che viviamo quotidianamente noi docenti, solo che ci vergogniamo ad ammetterlo. L’alunno che spara la pallina alla prof sarà premiato dai docenti stessi riuniti nel consiglio di classe. Così la prossima volta potrà lanciare pallottole di metallo. Quelle vere.
Ho deciso di scrivere questa lettera per chiedere scusa a tutti i ragazzi che per essere promossi hanno studiato con impegno. Dicevo sempre loro che l’impegno viene premiato, spiegavo l’importanza del merito. Ci credevo davvero. Adesso, quando vedo che i loro sforzi sono stati valutati alla pari con chi li ha sbeffeggiati, provo profonda tristezza e delusione nei confronti della scuola intesa come servizio pubblico. La mia delusione è soprattutto nei confronti dei docenti, di quelli come me, dei miei colleghi. Siamo una categoria disunita, che ha permesso di farsi schiavizzare, intimidire, svalutare sul piano professionale ed economico.
Questi sono gli ultimi giorni della mia carriera come insegnante. Lascio il mio lavoro con profonda amarezza. Ma vorrei rivolgermi a quei ragazzi che non hanno mai perso l’amore per la conoscenza e per lo studio. Nonostante le delusioni hanno deciso di perseguire i loro sogni e le loro passioni, scappando dalla mediocrità. Quelli che hanno capito l’importanza di spiccare il volo, allargare i loro orizzonti, raggiungere le vette meravigliose del sapere, potranno godersi viste mozzafiato. Buon viaggio. Non permettete a nessuno di spezzarvi le ali facendovi credere che tutto si possa ottenere senza impegno, con mezzucci o la protezione di mamma e papà. Vi voglio bene.
Ewa Zwierzynska, docente di lingue
(da quest’anno in pensione)
Lascia un commento