MILANO – Il mito di Apollo e Dafne è stato tramandato prima oralmente e poi in forma scritta da parte dei più grandi autori dell’antichità. Una delle prime fonti autorevoli è quella di Publio Ovidio Nasone, poeta latino vissuto intorno al I secolo d.C., ne “Le metamorfosi”.
Molte sono le versioni del mito ma tutte sono concordi su alcuni elementi fondamentali che praticamente restano sempre gli stessi.
Dafne, parola greca che significa lauro, è una bellissima Ninfa che fa parte del gruppo delle Naiadi, protettrici dei corsi d’acqua. Di lei si innamora il dio Apollo, uno degli dei più amati e temuti, figlio di Zeus, il re degli dei, e Leto.
Restano ancora incerte le origini di Dafne. Esiste una prima interpretazione secondo la quale pare fosse figlia del dio fluviale Ladone e di Creusa. Leggendo invece quanto scrive Ovidio pare fosse figlia di Peneo, un fiume sacro che scorre in Tessaglia.
La storia parte con una diatriba tra Apollo, dio del Sole, e Cupido, dio dell’Amore. Apollo riuscì a uccidere un temibile serpente, Pitone, grazie alla sua infallibile maestria con arco e frecce. Di questo si fece vanto con Cupido e perfino lo derise. Questi, irato, estrasse due frecce dalla faretra: una con la punta d’oro ben acuminata contro Apollo con lo scopo di farlo innamorare perdutamente di Dafne, l’altra, con la punta stondata fatta di ferro, destinata a Dafne perché potesse respingere l’amore ricevuto.
La bellissima ninfa però era contesa tra il dio del sole e un uomo mortale di nome Leucippo, figlio del re dell’Elide. Leucippo, per guardarla mentre faceva il bagno nel fiume con le altre ninfe, decise di travestirsi da donna. Quel giorno, però, le ninfe decisero di fare il bagno nude e così invitarono anche Leucippo a spogliarsi. Scoperto l’inganno del travestimento lo uccisero. Apollo si liberò così definitivamente del rivale in amore e decise di dichiararsi a Dafne. Lei, essendo una ninfa amante della propria libertà, non voleva sottostare al volere del dio. Così, dopo la dichiarazione, iniziò a scappare velocemente per non essere raggiunta. Nel fuggire fra l’erba e le sterpaglie, la ninfa si graffiò strappandosi le vesti, mentre Apollo continuava a dichiararle il suo amore supplicandola di fermarsi. La giovane spaventata invocò l’aiuto del padre Peneo e della madre Gea affinché la salvassero.
Le due divinità acconsentirono alla sua richiesta. Di colpo Dafne si fermò sentendo il suo corpo pesante e allo stesso tempo iniziò ad ergersi verso l’alto divenendo un bellissimo albero di alloro. Ad Apollo, sconsolato, non rimase che abbracciare l’albero che aveva mantenuto intatta la bellezza della ninfa. Da quel giorno, l’alloro divenne la pianta sacra al dio Apollo, che ne portò una corona sempre intorno al suo capo.
Il significato racchiuso nel mito può essere visto come una lotta eterna tra castità (Dafne) e pulsione sessuale (Apollo). La soluzione a questa lotta sembra essere la metamorfosi, che offre l’unica possibilità perché la fanciulla possa restare vergine per sempre. Molti sono stati gli artisti che hanno rappresentato il mito di Apollo e Dafne. Tra questi, Gian Lorenzo Bernini, autore di una splendida rappresentazione scultorea dei due protagonisti, oggi conservata alla Galleria Borghese a Roma. Sono diversi anche i pittori che si sono cimentati in opere d’arte che si ispirano a questo mito. Giorgione, il Pollaiolo e Tiepolo sono i grandi nomi che vanno annoverati. Qualche critico d’arte ha perfino supposto che “Il bacio” di Klimt rappresenti l’attimo prima della trasformazione di Dafne in albero, ossia il momento in cui il dio bacia la fanciulla per la prima ed unica volta.
Quella di Dafne ed Apollo è una storia d’amore senza lieto fine ma continua ad affascinare, dall’antica Grecia fino ai giorni nostri.
Margherita Bonfilio
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