MILANO – Della guerra si parla ormai da mesi. Aleggia nel quotidiano e non si è limitata a bussare, ma è entrata spalancando le porte. Ma i conflitti ci sono sempre stati e ci sono ancora, è nella natura dell’uomo il desiderio di onnipresenza. E se al fronte ci va Piero nella tasca di chi manovra c’è la Finanza, la Gloria, la brama della Storia. Ma per i comuni mortali, la memoria è a breve termine e i servizi delle guerre, dei soprusi, delle torture che sconvolgono il pianeta, fino al 24 febbraio, erano solo per una “noiosa” nicchia di intellettuali serali. L’uomo è un animale resiliente, si abitua, trova equilibrio anche davanti all’orrore. Ma in mezzo alla tragedia una sola verità: la morte, la fame, la distruzione. In questo Caos non calmo forse chi può dare uno spaccato un po’ più oggettivo è chi adesso in Ucraina si trova senza far parte di nessuna fazione. Daniele e Stefano, due volontari senza casacca, raccontano un altro punto di vista.
Daniele, è utile parlare così tanto delle colpe di una parte o dell’altra?
“Credo che non siano utili a nessuno le fazioni nei dibattiti. Quello che viene raccontato serve ad avvalorare una tesi personale ed è difficile per chi guarda trarre conclusioni oggettive. Il racconto è solo parziale, servirebbe raccontare di più l’orrore ‘ordinario’ della guerra. Manca il vero dramma della quotidianità della popolazione: sarà poi la Storia a condannare o a osannare”.
Chi è il colpevole?
“Colpevoli? Le colpe ce le hanno tutti gli attori da Occidente a Oriente, ma adesso non serve. Spesso i commentatori fanno la guerra della guerra, allontanando l’attenzione da ciò che è veramente importante ovvero che deve finire, deve esserci un cessate il fuoco, una risoluzione. Di sicuro, trovo che non ci sia ragione al mondo che possa giustificare un’invasione in nessun caso, non solo per l’Ucraina. Ma non vedo né un atto di altruismo da parte dell’Occidente né un atto di liberazione da parte dei Russi delle aree russofone. Vedo solo tanta ipocrisia, fino a qualche mese fa tra Putin e buona parte del mondo occidentale, non ultima l’Italia, c’erano rapporti di amicizia, nonostante i trascorsi di Putin con la sua politica di limitazione della libertà individuale, gli arresti dei giornalisti, degli avversari politici (Navalny per tutti). Le ragioni vere sono solo economiche e strategiche”.
Ma chi sono i protagonisti della guerra?
“Questa è la guerra degli indifesi e degli innocenti: donne, bambini, anziani, anche gli animali”.
Come racconteresti la guerra?
“Attraverso la quotidianità, mostrando cosa sopporta la popolazione, per farlo bisogna restare per giorni, mangiare e dormire con loro, perché al di là della parte tristemente spettacolare di un crollo, ldi questa guerra manca il sonoro e il silenzio del quotidiano”.
Chi hai trovato e soprattutto chi non hai trovato nelle zone maggiormente martoriate?
“Non mi nascondo, trovo che ci siano dei limiti nella gestione delle grandi organizzazioni. La loro utilità, non indifferente, verte sui contatti e disponibilità che noi piccoli mortali non possiamo avere, possono parlare e arrivare ovunque, hanno agganci, hanno mezzi anche economici importanti, hanno specialisti, grandi numeri… Ma ci sono dei limiti. Il principale, secondo me, è l’eccesso di costi di gestione rispetto a quello che poi viene realmente impiegato nelle zone più colpite. Io, nei luoghi cruciali, sotto le bombe, ad esclusione di Emergency e poche altre organizzazioni, che fanno interventi diretti sanitari e di supporto, non ne ho viste molte e ho girato tanto l’Ucraina”.
Puoi spiegarti meglio?
“Ci sono le sedi, i centri, i tendoni ma quello che non vedo sono i volontari in giro soprattutto nelle zone più a rischio. Io ho trovato delle tende, per esempio al confine con la Romania, aperte solo nelle ore centrali del pomeriggio… E di notte? I profughi arrivano a ogni ora. Noi possiamo fare poco rispetto a loro, mentre con i giusti mezzi si potrebbero evacuare molte più persone dalle zone interne, i volontari come noi sono sempre operativi pur non prendendo nessun fondo assistenziale. E poi anche l’accoglienza ha crepe non indifferenti”.
C’è cooperazione tra i piccoli gruppi come il vostro e le associazioni più note?
“Non ho visto grande supporto verso i piccoli gruppi e sono in contatto con diversi. Per esempio, durante uno degli ultimi viaggi, alcuni volontari rumeni avevano tante richieste ma i magazzini vuoti, si sono rivolti ai gruppi più altisonanti ma, ‘causa burocrazia’, non è stato mandato nulla. Alla fine siamo dovuti andare noi a portare aiuti insieme a un volontario con un camper carico”.
Armi o diplomazia per la Pace?
“Entrambe, ma in tempi alterni. Gli Ucraini hanno diritto di difendersi e non possono farlo con i sassi. La diplomazia servirà ma non credo nell’immediato. E’ evidente che da questa situazione non si uscirà con le armi: serve il dialogo. Personalmente credo che ai tavoli ci si siederà quando una delle parti cederà qualcosa. Nello specifico, purtroppo, penso che sarà difficile trovare una risoluzione finché qualcosa non si concederà a Putin; comunque l’Ucraina deve uscirne a testa alta”.
Qual è l’atteggiamento della gente che resta e di quella che parte?
“Chi resta lo fa con convinzione, attaccamento alla patria e dignità. Per chi parte, nonostante le difficoltà di affrontare viaggi che spesso durano anche giorni, è di tristezza, ma anche di orgoglio e mentre parte pensa già al ritorno”.
Cosa pensi di chi dice: perché vai in Ucraina invece che in Siria, Afhganistan…
“Che è una stupidata. Io vado dove realmente posso fare la differenza e la differenza fisicamente in questo momento posso farla in Ucraina. Lo dico con cognizione di causa perché sono sempre partito per aree a rischio soprattutto nell’Africa orientale, in particolare in Kenya, Tanzania, Rwanda. Il mio contributo l’ho dato sempre: quando ho potuto sono partito, altrimenti ho aiutato attraverso delle associazioni, in particolare per il dramma dei rifugiati. Piuttosto, dov’è il contributo di quelli che parlano?”.
Cos’è l’esperienza ucraina?
“Un’esperienza diretta di guerra dietro l’angolo che tutti possono vedere da vicino anche attraverso il web. L’Ucraina è la guerra che stiamo vedendo e vivendo in prima persona, non come un racconto lontano, ma è l’immagine della seconda guerra mondiale proiettata ai giorni nostri. Non è più importante di altre guerre ma è la guerra che la nostra generazione sta toccando”.
Stefano, cosa ti ha spinto in Ucraina?
“Quando è scoppiata questa guerra assurda, mi sono sentito in una situazione emotiva disastrosa, ero scioccato e costantemente ansioso. Incontrare Daniele è stata la mia salvezza, perché ha saputo cogliere la mia emotività, il mio desiderio di fare qualcosa di concreto e l’ha orientata nel modo giusto, per poter intervenire e dare quello che avevo da dare. L’ho conosciuto tre mesi fa, ma mi sembra di conoscerlo da sempre perché ha la straordinaria capacità non solo di risolvere i problemi delle persone ma anche di formarle, mi ha saputo preparare e mi ha dato gli strumenti rendendomi autonomo”.
Cosa significa fare una prima esperienza in un luogo di guerra?
“E’ impossibile partire preparati la prima volta, ci si può fare un’idea ma la verità la si scopre sul momento. Noi partiamo con un obiettivo e lo seguiamo, il nostro carburante è il nostro feeling di squadra, ma non meno importante è l’umanità che ci sostiene. L’umanità della popolazione in Ucraina che incontriamo ma anche di quelli che ci supportano in Italia. Questo spirito di fratellanza ci permette di portare a termine gli obiettivi, non solo nel modo migliore possibile ma è uno sprone. Ormai è impossibile fermarsi, dopo una missione il nostro pensiero è rivolto a quella successiva, è una catena di umanità di cui noi siamo ingranaggi”.
Daniele e Stefano, avete pensato al dopo?
“Sempre. Il nostro scopo oltre ad aiutare sarà quello di ricostruire, noi non siamo qui per motivi economici o perché ci vogliamo lavare la coscienza, per noi è la cosa giusta da fare. Noi speriamo che Mariupol resti ucraina ed è da lì che partirà il nostro impegno per la ricostruzione, non perché non ci sia bisogno in altre zone ma perché Mariupol è un simbolo di questa guerra. La ricostruzione è parte fondamentale di ciò che è la nostra missione”.
Da un post sotto le foto delle fosse di Bucha si legge: “Dopo che vedi e vivi la guerra, ti senti diverso. Ti si attacca addosso. Torna su come nausea. Ti avvolge. Ti spinge a resistere. Sei tu, più qualcosa di indelebile. Sei l’inferno che prova a vivere normalmente. Gli altri sono il paradiso che finge quotidianamente”.
Alessia Orlando
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