La prima volta non si scorda mai. Vale sempre e comunque, nel bene e nel male. Il primo giorno di scuola, d’accordo, anzi i tanti inizi che caratterizzano la vita scolastica di ognuno di noi. Il primo giorno di lavoro e l’arrivo in una nuova città, tutta da scoprire e non solo sul piano lavorativo. La prima delusione, affettiva e non. Il primo bacio…
Quando si parte, raramente si ha chiara la meta finale. O meglio, spesso si conosce il traguardo (il diploma, l’assunzione, la laurea, il matrimonio), ma il percorso è ignoto. Ci si può arrivare seguendo la via più breve (ma non è detto che sia la più comoda o la più facile), ma lo stesso obiettivo si può raggiungere attraverso strade più impervie e pure più dolorose. No, le scorciatoie no: quelle vanno evitate. Tanto la vita prima o poi presenta il conto.
Il mio primo vero ingresso nella scuola avvenne in terza elementare. Avevo frequentato prima e seconda in un istituto privato, retto da religiosi: classe da 10-12 alunni e tanta attenzione (anche troppa). L’arrivo nella scuola pubblica fu traumatico: in aula eravamo una quarantina e il maestro circolava tra i banchi sempre con la famosa bacchetta in mano. E la usava con frequenza spropositata e spesso ingiustificata. Bastava un nonnulla e scattava la punizione. A distanza di tanti anni, ho la sensazione che fosse anche un po’ sadico e che ci provasse gusto a bacchettare i suoi allievi. Non che non fosse preparato, ma i suoi metodi di insegnamento e soprattutto quelli educativi appartenevano all’immediato dopoguerra e non all’Italia nel pieno del boom economico degli anni Sessanta. Era molto autoritario e scarsamente autorevole: insomma non ho buon ricordo.
Più o meno lo stesso accadde al ginnasio dove l’insegnante di lettere era un professore anziano alle soglie della pensione: per carità, bravissima persona ma inadeguata per i compiti che l’istituzione scolastica gli aveva affidato. Con lui facevamo italiano, latino, greco, storia e geografia: troppe materie affidate allo stesso docente. In italiano me la cavavo senza problemi per doti naturali; latino lo avevo fatto benissimo alle medie e quindi campavo di rendita; storia e geografia mi piacevano. E il greco? Una tragedia: non seppe insegnarlo e soprattutto non fu capace di farmelo amare. Una carenza che mi sono portato dietro fino alla maturità: provate ad indovinare la materia della seconda prova scritta… Incredibile poi la scelta di farci imparare a memoria due brani dei Promessi sposi: “Quel ramo di lago di Como…” e “Addio monti…”. Perché? A che cosa poteva servire se non ad odiare Manzoni e il prof? A distanza di tanti anni mi sembra solo sadismo didattico.
E poi ci sono state tante altre prime volte: medie, liceo, da matricola all’università dove per darmi un certo contegno mi ero fatto crescere una barba post sessantottina, tagliata senza pietà al primo esame andato male (Analisi matematica I). Rimasero i baffi che resistono tuttora.
Ma ci sono state anche le prime volte lavorative in città diverse: dal praticantato giornalistico a Forlì all’arrivo a Perugia. E poi Ascoli Piceno, Fermo, Viterbo, Monterotondo, Rieti, ancora Perugia, ancora Viterbo, Grosseto, per chiudere infine nel capoluogo umbro. Ogni tappa, una fermata: nuove amicizie e nuovi incontri, soddisfazioni e delusioni, persone da ricordare sempre e altre dimenticate senza alcun rimpianto. Esami da affrontare ogni giorno: molti superati, alcuni falliti. Perché solo chi non fa, non sbaglia mai… E gli sguardi di chi attende un’indicazione, un consiglio, una traccia. Pronto e disponibile in molti casi; speranzoso solo di cogliere l’errore e magari di aggiungere il famoso e insopportabile “Io lo avevo detto…”.
E’ la giostra della vita nella quale i percorsi si intersecano inesorabilmente secondo un destino (o fato o casualità) inesorabile che ci avvolge e ci travolge senza che nulla si possa fare per fermarlo. O almeno tentare di trasformarlo.
Buona domenica e buon inizio a tutti.
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