Gli allarmi sono continui, severi, drammatici: la Terra è in pericolo. Non certo per un qualche imperscrutabile disegno del destino che condanna il nostro Pianeta ad una fine anticipata e ingloriosa. No, la colpa ha un solo nome e cognome: l’Uomo. Sì, proprio la nostra specie: quella sapiens, quella più evoluta, quella in teoria meno portata all’autolesionismo. E invece è accaduto e, purtroppo, continua ad accadere. Ogni santo giorno, invece, il nostro comportamento è l’esatto contrario di quanto sarebbe necessario per proteggere il suolo dove viviamo, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo perché ci illudiamo che i problemi siano meno gravi, che le situazioni col tempo evolveranno positivamente e che, alla fine, sarà la stessa Natura a metterci una pezza. Naturalmente, non è così.
La Giornata della Terra (Earth Day, in inglese) è il nome usato per indicare il giorno in cui si celebra l’ambiente e la salvaguardia del pianeta. L’Onu fissa questa ricorrenza un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera: il 22 aprile, appunto. Le celebrazioni coinvolgono 193 paesi e circa un miliardo di persone. La Giornata della Terra nacque nel 1962 in seguito alla pubblicazione, del libro manifesto ambientalista Primavera silenziosa della biologa statunitense Rachel Carson; in seguito, nel 1969, in una conferenza dell’UNESCO a San Francisco, l’attivista per la pace John McConnell propose una giornata per onorare la Terra e il concetto di pace, celebrata la prima volta il 21 marzo 1970, il primo giorno di primavera nell’emisfero settentrionale.
In quegli anni le proteste contro la guerra del Vietnam erano in aumento, ed al senatore staunitense Gaylord Nelson venne l’idea di organizzare un “teach-in” (insegnamento) sulle questioni ambientali. Nelson riuscì a coinvolgere anche noti esponenti del mondo politico come Robert Kennedy, che nel 1963 attraversò ben 11 Stati del Paese tenendo una serie di conferenze dedicate ai temi ambientali. L’Earth Day prese definitivamente forma nel 1969 a seguito del disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oi al largo di Santa Barbara, in California, a seguito del quale il senatore Nelson decise fosse giunto il momento di portare le questioni ambientali all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico: “Tutte le persone, a prescindere dall’etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”.
Il 22 aprile 1970, ispirandosi a questo principio, 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una manifestazione a difesa della Terra. I gruppi che singolarmente avevano combattuto contro l’inquinamento da combustibili fossili, contro l’inquinamento delle fabbriche e delle centrali elettriche, i rifiuti tossici, i pesticidi, la progressiva desertificazione e l’estinzione della fauna selvatica, improvvisamente compresero di condividere valori comuni. Migliaia di college e università organizzarono proteste contro il degrado ambientale: da allora il 22 aprile prese il nome di Earth Day, la Giornata della Terra. La copertura mediatica della prima Giornata Mondiale della Terra venne realizzata da Walter Cronkite della CBS News con un servizio intitolato “Giornata della Terra: una questione di sopravvivenza”. Fra i protagonisti della manifestazione anche alcuni grandi nomi dello spettacolo statunitense tra cui Pete Seeger, Paul Newman e Ali McGraw.
Nel corso degli anni l’organizzazione dell’Earth Day si dota di strumenti di comunicazione più potenti arrivando a celebrare il proprio ventesimo anno di fondazione con una storica scalata sul monte Everest in cui un team formato da alpinisti statunitensi, sovietici e cinesi, realizzò un collegamento mondiale via satellite. Al termine della spedizione tutta la squadra trasportò a valle oltre 2 tonnellate di rifiuti lasciati sul monte Everest da precedenti missioni.
Le nuove generazioni sono per fortuna sono molto più sensibili sui temi che riguardano l’inquinamento di aria, acqua e suolo, la distruzione degli ecosistemi, le migliaia di piante e specie animali che scompaiono, e l’esaurimento delle risorse non rinnovabili (carbone, petrolio, gas naturali). Si insiste in soluzioni che permettano di eliminare gli effetti negativi delle attività dell’uomo, a partire dal riciclo dei materiali, dalla conservazione delle risorse naturali (petrolio e combustibili fossili in genere), divieto di utilizzare prodotti chimici dannosi, cessazione della distruzione di habitat fondamentali come i boschi umidi e la protezione delle specie minacciate.
C’è anche un metodo per misurare quanta stiamo consumando. E’ la cosiddetta “impronta ecologica” che misura l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire i rifiuti prodotti. I calcoli sono piuttosto complicati, ma i risultati sono facilmente comprensibili: oggi, in base ai consumi attuali, sarebbe necessario avere il 20% di pianeta Terra in più per produrre quanto necessario per vivere e per metabolizzare quello che viene buttato o non più utilizzato. E’ di tutta evidenza che non è possibile “espandere” il nostro pianeta e allora non c’è altra soluzione che cambiare i nostri stili di vita. Certo, molto spetta ai governanti, ma tantissimo può fare ognuno di noi ogni. Il tempo degli allarmi è finito: ora bisogna solo operare.
Buona domenica.
Lascia un commento