PERUGIA – Il 15 dicembre scorso è caduto il 130esimo anniversario della morte di Toro Seduto, il grande capo Sioux. Una fine dai contorni oscuri, se non un vero e proprio giallo. Ad ucciderlo, infatti, furono gli uomini dell’Agenzia Indiana (pellerossa anche loro, dunque) operanti nella riserva di Standing Rock, nel Sud Dakota, che avevano soltanto ricevuto – almeno formalmente – un mandato di arresto per il capo e per suo figlio adottivo. L’ipotesi formulata dell’accusa è il sospetto che l’anziano guerriero facesse parte di un gruppo che praticava “la danza degli spiriti”, ritenuto estremista e ribelle. Pare che le ultime parole di Sitting Bull (così lo chiamavano i soldati ed i coloni statunitensi) siano state: “Basta… non mi muovo da qui…”. Da quel rifiuto sarebbe scaturita una breve colluttazione. Trascinato fuori dalla capanna il guerriero Sioux, ormai quasi settantenne, venne ferito da un colpo di pistola da “Testa di toro” e freddato, sempre con una colt, alla nuca da “Tomahawk rosso”. Al figlio adottivo, Piede di Corvo, venne riservata la stessa sorte.
Il fatto di sangue passò presto nel dimenticatoio, segno che il governo statunitense se non il mandante, in modo molto machiavellico, aveva gioito per la fine del capo pellerossa, ritenendolo comunque un pericolo costante per la sicurezza dei territori indiani. Toro Seduto (in lingua Lakota, Tatanka Yotanga) aveva visto la luce nella tribù Unkpapa ed il padre gli aveva dato il nome di “Tasso saltante”. Il nome col quale è divenuto celebre lo conquistò a 14 anni, quando uccise in battaglia, in un inseguimento a cavallo, un guerriero della tribù nemica dei Crow. Quel giorno, oltre ad ereditare il nome del genitore, potè fregiarsi anche della penna di aquila bianca, alto segno distintivo, che restò sempre fissata alla sua lunga capigliatura.
A venti anni Toro seduto veniva già considerato, all’interno della sua tribù, un uomo saggio, riflessivo ma deciso. Forte in guerra, abilissimo nella caccia al bisonte, esperto nella “danza della pioggia”. Mai stato un uomo della medicina, uno sciamano, eppure dai suoi veniva considerato una sorta di santone. La sua fama crebbe ulteriormente nelle guerre indiane tra il 1863 ed il 1877. Toro Seduto partecipò alle battaglie di Dead Buffalo Lake, di Stoney Lake, Whitestone, delle Killdeer Mountains, delle Badlands, sia pure vinte dall’esercito che, ovviamente, faceva buon uso dell’artiglieria pesante. In un assalto ad un treno, Toro seduto venne anche ferito all’anca e per un certo periodo dovette ritirarsi dai campi di battaglia. Dissotterrò di nuovo l’ascia di guerra dopo la strage di Sand Creek, di cui furono vittima gli Cheyenne. Eccolo sotto Fort Berthold, Fort Stevenson, Fort Buford, col suo volto segnato dalle cicatrici ed all’assalto, insieme a “Coda Chiazzata” della tribù Sioux dei Sichango, di Julesburg in Colorado (distrutta completamente). Ed ancora in azione con “Nuvola rossa”, degli Oglala Sioux, nella zona del Powder River, affluente del Missouri. Mentre i Sioux, l’anno dopo, nel 1868, firmavano il Trattato di Fort Laramie nel Nord Dakota, Toro Seduto, insieme a Cavallo Pazzo rimase in armi e nel 1871 continuava a scorrazzare nelle Black Hills assaltate, dopo l’annuncio del ritrovamento dell’oro in quel territorio, da migliaia di bianchi, molti di quali freschi immigrati dall’Europa.
Alleato con i Cheyenne e gli Arapaho, il 25 giugno 1876, il capo Sioux alla testa di 3500 pellerossa, al Little Big Horn sterminò il Settimo cavalleggeri e il generale George Armstrong Custer. Il governo rafforzò l’esercito e mentre i Sioux e le altre nazioni indiane si arresero, Toro seduto, la sua famiglia e circa duecento guerrieri si ritirarono sulle falde di Wood Mountains in Canada. La fame e le malattie, però, convinsero Toro seduto, anche per alleviare le tribolazioni alla sua gente, a rientrare negli Usa ed ad arrendersi: era il 19 luglio 1881. Particolare curioso: al collo il capo indiano portava una collana con una decorazione pontificia. Come fosse finita sul collo dell’indomani le combattente subito non si seppe. Poi si scoprì che la medaglia era stata concessa dallo Stato Pontificio allo scozzese Myles Walter Keog, che aveva combattuto in Italia, per i papalini nella battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860) ed aveva perso la vita contro gli indiani a Custers Point.
Fino al maggio del 1883 Sitting Bull rimase nella riserva di Standing Rock. Poi gli concessero di partecipare insieme a Buffalo Bill (pseudonimo di William Frederik Cody) agli spettacoli del Circo Barnum (guadagnava 50 dollari alla settimana). Durò poco più di 120 giorni quell’esperienza, nella quale alla fine della sua esibizione, Toro Seduto teneva un intervento in lingua Lakota. Gli spettatori ritenevano che parlasse della sua vita e lo subissavano di applausi, mentre in realtà lanciava ingiurie e maledizioni ai bianchi. Al rientro a Standing Rock si avvicinò al gruppo che praticava “la danza degli spiriti”. Esperienza che gli costò la vita. Venne sepolto a Fort Yates, poi i suoi resti vennero traslati nella contea di Corson nel “Sitting Bull Monuments”. Il suo ricordo, tuttavia, non è morto. Anzi la fama si è allargata a tutto il mondo: gli Usa gli hanno dedicato un francobollo, e hanno dato il suo nome ad un College. In Danimarca gli hanno innalzato una statua fatta, addirittura, con i Lego.
Elio Clero Bertoldi
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