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Virginia, contessa di Castiglione: la donna che fece l’Italia

di | 2020-12-04T12:55:31+01:00 6-12-2020 6:20|Cultura, Sezione 5|0 Commenti

PERUGIA – Gli storici tendono a sminuire ed alcuni persino a ritenere del tutto ininfluente il ruolo svolto da Virginia Oldoini (1837-1899), nota come la Contessa di Castiglione, nella storia del Risorgimento Italiano, mentre la sua attività di spia e di amante dell’Imperatore di Francia, Napoleone III, risulta indubitabile. Il fatto è che alla sua morte, la polizia francese da un lato e quella italiana dall’altro, provvidero a requisire e a distruggere col fuoco l’epistolario e tutte le carte ed i documenti – compromettenti per i rispettivi governi – trovati nella casa parigina e nel palazzo spezzino della nobildonna. Un lavoro certosino e preciso che ha privato gli storici di una documentazione sicuramente interessante.

Ma il ruolo svolto dall’ambiziosa nobildonna venne riconosciuto, sia pure in maniera volgare e per nulla da gentiluomo da un uomo politico italiano, più volte ministro, che definì la contessa “la vulva d’oro del Risorgimento”. Slanciata, occhi azzurri, capelli biondi, elegante, colta (parlava fluentemente tre lingue – francese, tedesco, inglese – oltre l’italiano) l’esuberante e intraprendente fiorentina attirava l’attenzione in ogni ambiente. Certo appariva algida ed altera e non risultava simpatica alle altre donne, alle quali non rivolgeva quasi mai parola (sosteneva con superbia: “Le eguaglio per nascita, le supero per bellezza, le giudico per ingegno”). Ma gli uomini non resistevano al suo fascino civettuolo e raffinato, fossero imperatori, re, principi (come i tre fratelli della casata Doria), banchieri (un Rotschild, tra gli altri), ministri e ambasciatori (Costantino Nigra). “Io sono io e me ne vanto”, affermava la contessa rivendicando il suo orgoglio di donna franca, libera, spregiudicata. Indossava abiti costosi, spesso provocanti con tanto di spacchi e di scollature profonde.

Amava i colori ametista, rosso magenta, viola, lavanda. Oggi si sarebbe imposta come “influencer” di successo. Risultava pure narcisista maniacale ed ossessiva, sicuramente: si calcola fossero oltre 400 i ritratti che si fece scattare dai fotografi più in voga dell’epoca, tra i quali Mayer e Pierson, ovviamente i più ricercati del tempo. Sembra che lei stessa scegliesse la posa, gli abiti, la scenografia. Coltivava una sorta di religione della propria bellezza e si sentì fino all’ultimo “la donna più bella del secolo”, tanto da sperare che i suoi ritratti venissero presentati in occasione dell’Esposizione internazionale. Si spense prima e la morte le risparmiò una ennesima delusione.

Virginia era figlia del marchese Filippo Oldoini di La Spezia e della marchesa fiorentina Isabella Lamporecchi, anche lei bellissima e imparentata con Cavour. A 17 anni venne fatta sposare – l’anno prima era stata sedotta da un corteggiatore – al ventottenne Francesco Verasis Asinari, ricco vedovo, conte di Castiglione Tinella per l’appunto, ed il matrimonio durò, formalmente, una dozzina di anni. Con tradimenti coniugali continui. Lei, sprezzante, indicava lo sposo con le parole: “il mio povero becco”. Fu nel 1856 che il cugino, il conte Camillo Benso di Cavour, in vista del congresso di Parigi al termine della guerra di Crimea, la reclutò e la inviò in Francia per conquistare “con ogni mezzo” l’imperatore alla politica del Regno di Sardegna e dunque convincerlo alla causa italiana. L’incontro fatale avvenne a Compiègne. L’imperatore non resistette al fascino, raffinato ed elegante, dell’aristocratica italiana. Virginia stessa scrisse che il rapporto completo, in piena notte, durò una mezz’ora. Non sappiamo quale voto – la contessa era abituata ad annotare sul suo diario (“Journal”, lo definiva), gli avvenimenti di ogni giorno oltre alle valutazioni degli amanti di turno proprio come fanno i giornalisti sportivi nelle pagelle dei calciatori – abbia affibbiato alla testa coronata.

Che fosse stata, comunque, una serata indimenticabile lo dimostra il particolare che lei conservasse, gelosamente, la vestaglia di seta verde indossata in quella circostanza. L’indumento intimo venne ritrovato, lei ormai morta e sepolta, da un antiquario in un armadio del castello di Santena in Piemonte: ripiegato accuratamente, segno che la nobildonna teneva parecchio a quel… cimelio (ora esposto in una teca del Museo Cavouriano della cittadina). Ovviamente l’imperatrice Eugenia, tra l’altro molto religiosa, vedeva l’italiana, che le aveva circuito il marito, come il fumo negli occhi e pare che sia stata lei l’ispiratrice di un attentato (fallito) al suo sposo, sorpreso mentre usciva casa dell’amante in Rue Montaigne, il 2 aprile del 1857. Tanto bastò che, per motivi di sicurezza, l’intrigante italiana fosse costretta a rientrare a Torino. Dove divenne amante di Vittorio Emanuele II. Da un talamo reale ad un altro.

Napoleone III, comunque, la richiamò in Francia nel 1861. L’acme della sua spesso scandalosa celebrità lo raggiunse in occasione della Esposizione internazionale del 1867. La tresca imperiale trovò la parola fine nella battaglia delle Ardenne, nel settembre del 1870, che la Francia combattè contro la confederazione germanica (Prussia e Baviera), dove lo sconfitto Napoleone III, come cantavano i suoi detrattori “cedendo Sedan, cedette i suoi denti” (giocando sull’assonanza delle parole, in francese). E perse anche il suo regno: preso prigioniero fu costretto all’esilio in Inghilterra. Durante i tumulti della Comune, Virginia si trasferì in Italia. I due amanti non si rividero mai più. La contessa – che Cavour in privato aveva soprannominato “Nicchia” (diminutivo di Virginicchia), che Vittorio Emanuele II vezzeggiava con un “Ninì” e che Napoleone III chiamava, invece, “Mina” – nel 1873 rientrò definitivamente a Parigi, in place Vendome, scialacquando le ricchezze ereditate e accumulate con speculazioni borsistiche messe al segno grazie ai suggerimenti dei suoi spasimanti banchieri.

Il pittore Paul Braudy la effigiò nella posa della “Maya desnuda” di Goya (l’opera venne distrutta). Furono gli ultimi bagliori di una stella collassata. Lei stessa, vedendosi sfiorire, tolse gli specchi impietosi dal suo appartamento ed i pochi rimasti li coprì con un velo bruno. Non intendeva arrendersi al tempo divoratore. I pretendenti non bussavano più alla sua porta. Nessuno la invitava alle feste. Era precipitata, dopo essere stata per lustri al centro dell’attenzione, nel più profondo anonimato. Sfrattata persino dal suo appartamento, trascorse gli ultimi sei anni in una modesta abitazione di Rue Cambon. La fine la colse sola, ipocondriaca e depressa, nel novembre 1899. Voleva essere sepolta a La Spezia, ma non l’accontentarono: fu tumulata nel cimitero parigino di Pére Lachaise, dove riposano personaggi di alto rilievo storico, letterario ed artistico. Ed anche lei, a suo modo, merita di starci: contribuì, anima e corpo, all’unità d’Italia.

Elio Clero Bertoldi

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