NUORO – “La chiesa della solitudine” è stato l’ultimo romanzo di Grazia Deledda. L’opera, del 1936, presenta la protagonista che, come l’autrice, è malata di tumore. Grazia Deledda muore infatti poco dopo a Roma il 15 agosto 1936, lasciando un’opera incompiuta che verrà pubblicata l’anno successivo, a cura di Antonio Baldini, con il titolo “Cosima, quasi Grazia”. La protagonista del romanzo è Maria Concezione, una donna che vive un duplice dramma: la malattia e l’amore negato. Il libro affronta il tema del cancro che affligge la protagonista, il lato oscuro della vita, il dolore, la sofferenza, i silenzi, le gioie e le inquietudini, il successo e la malattia che hanno segnato la qualità umana dell’autrice stessa.
È un breve romanzo. Lo stile è asciutto e diretto. La Deledda sembra quasi abbia la necessità di dire semplicemente le cose e ciò che rimane, dopo la lettura, è il ricordo di una bella storia triste. Il lettore rimane quasi rapito dal fraseggio e dalla storia narrata e sembra quasi conoscere meglio i pensieri e lo stato d’animo della scrittrice ormai prossima alla morte. È un romanzo meno celebre e meno impegnativo di altri ma più soggettivo e intimo, perché nella storia di Maria traspare tutto il dolore di Grazia, donna sofferente che ha preso coscienza del suo breve destino. Concezione è una donna che subisce un intervento al seno che le viene asportato. I medici le comunicano che, se sarà fortunata, potrà vivere altri dieci anni. Lei, dunque, si chiuderà in se stessa e rifiuterà ogni forma di amore terreno. La ragazza vive da sola con la madre in una casa annessa a una chiesa. Economicamente sta bene, ma conduce una vita semplice. Lavora come sarta e fa un po’ di beneficenza, accudendo la vecchia madre e chi è più sfortunato di lei. Ha deciso di negarsi all’amore ma è assillata da diversi spasimanti. Rifiuterà tutti e, sebbene con sacrificio, allontanerà anche l’unico uomo che le non le dispiace, Aroldo, che la ama per come è e non per il suo denaro.
Maria Concezione è una donna che si erge sopra tutti gli altri e che, in una società arcaica regolata da leggi ferree, dove una donna per sentirsi veramente completa deve assolutamente sposarsi, va contro ogni logica locale. Maria Concezione per l’epoca, il periodo fascista e una Sardegna rurale, è una donna rivoluzionaria, una sessantottina ante litteram che da un lato affronta con realismo e rassegnazione la condanna che le pesa sul capo come un macigno; dall’altro, invece, si mostrerà agli occhi di tutti combattiva. Infatti, tenendo nascosta la gravità del proprio male a tutti, rifiuterà le proposte di matrimonio e contesterà il fatto che una donna debba per forza sposarsi. Questa posizione della Deledda è davvero interessante per l’epoca in cui visse. Il romanzo si legge piacevolmente e introduce con la sua storia il lettore nelle pittoresche località, tradizioni, idee e retaggi della Sardegna. Il realismo della Deledda è ampiamente espresso in quest’opera dove le frasi sembrano piccole pennellate di un acquerello e il romanzo sembra quasi lo sfondo di un set cinematografico.
Il 10 settembre 1926 venne assegnato a Grazia Deledda il Nobel per la letteratura. Fu il secondo autore in Italia ad essere insignito di tale ambito riconoscimento in campo artistico, preceduta solo da Carducci venti anni prima, e resta finora l’unica scrittrice italiana premiata. Le diedero il Nobel perché dicevano che, attraverso la descrizione della sua regione natale e dei suoi abitanti, riusciva a trattare tematiche universali. In questo romanzo minore, forse, più che in altri questo è assai evidente.
Virginia Mariane
Nell’immagine di copertina, la scrittrice premio Nobel Grazia Deledda
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