FIAMIGNANO (Rieti) – “C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria…” cantava Giorgio Gaber ed è sempre più difficile sentirsi italiano, “ma per fortuna o purtroppo lo sono”. Chiediamo aiuto al Signor G. alla sua ironia, alla sua lungimiranza per non sentirci del tutto fuori posto. Dopo due anni di pandemia, si vax e no vax, morti, restrizioni, mancati abbracci, l’attacco della Russia all’Ucrainaconferma che niente sarà più come prima. L’uomo non ha smesso mai di fare la guerra (Siria, Afghanistan, Iran, Iraq, Yemen, Libano, Israeliani e Palestinesi etc) solo che questa guerra fa più paura, perché più vicina a noi, ai confini d’Europa, il cui sistema democratico è messo in discussione. Non facciamo però finta di cadere dal pero, tutto era prevedibilissimo dopo l’attacco al Donbass nel 2014 e già dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 era da mettere in conto la ricerca di nuovi equilibri politici.
Giornalisti come Dario Fabbri, la rivista Limes, esperti di geopolitica ce lo dicevano che il Donbass era una polveriera, ma noi abbiamo fatto finta di non vedere, anzi, abbiamo sventolato la Nato sotto al naso di uno come Putin, che ha le idee molto chiare su ciò che vuole e che non vuole, abbiamo fatto più acquisti di gas russo, anziché guardare avanti e renderci indipendenti energeticamente. Si parla di ritorno al carbone, alla faccia di Cop 26 e del riscaldamento globale. “Mi fa male il mondo” cantava ancora il Signor G. e accidenti se fa male, oggi che abbiamo sotto gli occhi la guerra, tutta la guerra, minuto per minuto. Ma non è una partita di calcio.
“Fino a una settimana fa anch’io come voi avevo solo il problema di quale film scegliere”: la frase di uno dei primi sfollati ucraini deve farci riflettere. Ai primi bombardamenti due famiglie (quella di Olga, avvocato, le figlie Valeria e Giulia di 24 e 18 anni, una è cantante lirica e una è assistente di magistrato, il marito, il fidanzato di una figlia, insieme a Natalia, collaboratrice dello studio legale, con il marito, una figlia di 4 anni, una di 10 e il nipote di 8 anni, affidatole dal padre) hanno preso quello che avevano in casa e senza perdere tempo hanno abbandonato Bila Tserkva, una città di 300mila abitanti a 70 chilometri da Kiev, su due VW minivan che sono stati la loro casa per cinque giorni: destinazione Roma, dove vive la mamma di Olga (anche lei si chiama Natalia), compagna di Aldo che fa il tassista e che ha messo a disposizione la grande casa di famiglia a Marmosedio nel comune di Fiamignano (850 mt s.l.m. in zona montana, una manciata di case, una ventina di residenti).
In Ucraina sono rimaste la mamma di Natalia (madre di Olga) di 84 anni e una sorella di 64 con altri parenti. Appena suona l’allarme aprono la botola nel pavimento di cui sono dotate molte case in campagna a uso dispensa e restano lì fino al cessato allarme. Dagli smartphone arrivano immagini in diretta dei bombardamenti, inviate dagli amici. Il gruppo ha viaggiato a passo d’uomo per risparmiare benzina e perché già c’erano lunghe file di camion miliari e altre famiglie in fuga. Al confine con l’Ungheria sono stati fermi un giorno, perché gli uomini al di sotto dei 60 anni non possono lasciare il paese: devono combattere. Il gruppo è riuscito a passare per motivi di salute di più di uno dei componenti e per la presenza di un minore, raggiungendo Roma, dove si trovavano già Olga e il marito, che prima dei bombardamenti erano venuti per acquistare arredi per la casa che stanno costruendo in Ucraina. Fino a pochi giorni prima si progettava un futuro, ora non si sa neanche se la casa resterà in piedi, se i parenti e amici si salveranno.
All’arrivo la visita a piazza San Pietro sventolando la bandiera ucraina e poi tutti insieme hanno raggiunto Marmosedio. La casa è grande (nell’ 800 era un’osteria), con un terreno che in questi giorni è stato preparato per la semina, ma i problemi sono tanti e loro possono già dirsi fortunati rispetto ad altri. Pochi giorni fa si è unita al gruppo un’altra mamma con un bambino di 6 anni: ha lasciato marito e padre a combattere al fronte, salutandoli senza sapere se si rivedranno. I bambini hanno lo sguardo spaurito, sono silenziosi, non parlano la lingua e Natalia, mamma di Olga, è l’unica a fare da interprete. Fatti i tamponi, rilasciata la tessera sanitaria per stranieri momentaneamente presenti, i bambini sono stati accolti a scuola, con assistente di sostegno, la Questura ha contattato ogni nucleo familiare rilasciando il permesso di soggiorno per un anno, con possibilità di rinnovo per sei mesi. Dai dati della Prefettura, nella provincia di Rieti risultano residenti 754 famiglie ucraine, di cui 463 nel capoluogo, altre principalmente a Fara Sabina e Poggio Mirteto. Facendo un calcolo approssimativo potrebbero arrivare almeno 1500 persone e non tutte hanno un alloggio.
La gara di solidarietà è partita subito, tra la gente e con la Caritas di Rieti, la mensa di Santa Chiara che ha fatto già tre viaggi al confine con l’Ucraina portando medicine, abiti, generi alimentari. Presso l’ufficio delle Comunicazioni sociali della Curia è stato aperto un infopoint per i nuovi arrivati. A Fiamignano sono stati distribuiti salvadanai perché bisogna pagare le bollette della luce e del gas della casa di Marmosedio, che non potrà ospitare tutte queste persone per un periodo troppo lungo. Il ministero dell’Interno non ha ancora diramato direttive e i sindaci non possono usare fondi pubblici, così il bombolone del gas (nei paesi delle aree interne il metano non arriva e molti hanno un bombolone privato o uno comunale nelle frazioni più numerose) è stato ricaricato con gli 800 euro raccolti nei salvadanai distribuiti nei negozi.
Un gruppo di volontari sta facendo la lista dei generi alimentari necessari, per evitare sprechi, in collaborazione con il gruppo di protezione civile dell’Associazione Nazionale Carabinieri. Non è una situazione che può andare a lungo affidandosi solo alla solidarietà delle persone, perché anche qui i problemi economici stanno aumentando, insieme alla paura, per una situazione che si teme durerà per diverso tempo. E poi c’è la storia di Mariya Romanyak, nata a Lviv in Ucraina nel 1963, che ha ricevuto la cittadinanza italiana dopo aver pronunciato la formula di rito davanti al sindaco di Varco Sabino. E’ venuta in Italia nel 2000, per mantenere i tre figli.
Un visto provvisorio a pagamento fino a Ortanova di Foggia, dove ha lavorato come stagionale in un’azienda agricola, dormendo in una casa isolata, senza conoscere la lingua, poi il trasferimento a Roma da una cugina. Un posto letto per 12 mila lire, un po’ di spesa, l’aiuto della Caritas, poi il lavoro presso una signora di 95 anni, che viveva con la figlia. Dopo due anni muore il marito a soli 39 anni per una setticemia e Mariya è tornata a Sambit nel distretto di Leopoli, per prendersi cura dei figli.
Ma i soldi non bastavano e nel 2004, affidando i figli a sua madre, ha deciso di tornare in Italia, questa volta clandestinamente, con un viaggio al limite della sopportazione, guadando fiumi e marciando nei boschi di notte con abiti leggeri. Da Roma è approdata a Varco Sabino nella frazione di Poggio Vittiano, dove si è presa cura di ‘Nannina’, che alla sua morte le ha lasciato la casa. Con il suo lavoro ha comprato una casa a tutti i figli in Ucraina.
Questa è la follia della guerra che uccide vite e sogni: quelli realizzati e quelli ancora da sognare.
Francesca Sammarco
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