RIETI – Il 24 gennaio, ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, Papa Francesco ha scritto come ogni anno agli operatori della comunicazione, invitando a riflessioni. Lo scorso anno si è soffermato sull’ “andare a vedere”, per scoprire la realtà e poterla raccontare a partire dall’esperienza degli eventi e dall’incontro con le persone ma, per la prima volta, a causa della pandemia, non è stato possibile discuterne con il Vescovo, Domenico Pompili, a sua volta giornalista, la stampa locale e giornalisti di testate nazionali, nella sala degli stemmi di Palazzo Papale. Quest’anno l’incontro c’è stato “in presenza”, con le dovute cautele e la lettera è stata discussa insieme al giornalista Andrea Vianello.
Francesco pone l’attenzione sull’ascolto, facoltà importante che stiamo perdendo, sia nei rapporti quotidiani, sia nei dibattiti più importanti, che riguardano il vivere civile, in privato e in pubblico. Ne sono esempio i talk show televisivi, in cui ognuno esprime la propria opinione, più o meno pacatamente, senza ascoltare le argomentazioni dell’altro, trasformando il tutto in un “fiume di parole”, sterile e fine a se stesso, mentre l’ascolto sta conoscendo un nuovo importante sviluppo in campo comunicativo e informativo, attraverso podcast e chat audio, a conferma che l’ascoltare rimane essenziale per la comunicazione umana. “Non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza”.
Francesco cita le parole di un illustre medico, abituato a curare le ferite dell’anima, sul bisogno più grande degli esseri umani, che è: “Il desiderio sconfinato di essere ascoltati”. Un desiderio che spesso rimane nascosto, ma che interpella chiunque sia chiamato ad essere educatore o formatore, o svolga comunque un ruolo di comunicatore: i genitori e gli insegnanti, i pastori e gli operatori pastorali, i lavoratori dell’informazione e quanti prestano un servizio sociale o politico. “Bisogna ascoltare con l’orecchio del cuore”, ci dice Francesco, rimandandoci alla Bibbia: “Shema’ Israel – Ascolta, Israele” (Dt 6,4)”, l’incipit del primo comandamento della Torah, continuamente riproposto, al punto che San Paolo affermerà che “la fede viene dall’ascolto” (Rm 10,17)”. E’ Dio che ci parla “noi rispondiamo ascoltandolo e anche questo ascoltare, in fondo, viene dalla sua grazia, come accade al neonato che risponde allo sguardo e alla voce della mamma e del papà. Tra i cinque sensi, quello privilegiato da Dio sembra essere proprio l’udito, forse perché è meno invasivo, più discreto della vista, e dunque lascia l’essere umano più libero”.
L’ascolto presuppone umiltà, secondo lo stile umile di Dio con il quale si rivela come Colui che, parlando, crea l’uomo a Sua immagine, e ascoltando lo riconosce come proprio interlocutore. “Dio ama l’uomo: per questo gli rivolge la Parola, per questo “tende l’orecchio” per ascoltarlo”. Francesco ci ricorda come troppo spesso l’uomo tenda a fuggire la relazione, a voltare le spalle, a “chiudere le orecchie” per non dover ascoltare. Il rifiuto finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro, “come avvenne agli ascoltatori del diacono Stefano i quali, turandosi gli orecchi, si scagliarono tutti insieme contro di lui (cfr At 7,57)”. Se Dio comunica “gratuitamente”, l’uomo invece si deve sintonizzare, mettendosi in ascolto. “Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a un’alleanza d’amore, affinché egli possa diventare pienamente ciò che è: immagine e somiglianza di Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro. L’ascolto, in fondo, è una dimensione dell’amore” scrive Francesco, che ci ricorda l’appello di Gesù ai suoi discepoli, per verificare la qualità del loro ascolto: “Fate attenzione dunque a come ascoltate” (Lc 8,18), dopo aver raccontato la parabola del seminatore, lasciando intendere che non basta ascoltare, bisogna farlo bene. Solo chi accoglie la Parola con il cuore “bello e buono” e la custodisce fedelmente porta frutti di vita e di salvezza (cfr Lc 8,15).
Solo facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere nell’arte di comunicare, il cui centro non è una teoria o una tecnica, ma la “capacità del cuore che rende possibile la prossimità” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 171). Troppo spesso non riusciamo ad ascoltare l’altro per una sordità interiore, che non riguarda solo l’udito, ma coinvolge tutta la persona. Il re Salomone, pur giovanissimo, si dimostrò saggio perché domandò al Signore di concedergli “un cuore che ascolta” (1 Re 3,9), e Sant’Agostino invitava ad ascoltare con il cuore (corde audire), ad accogliere le parole non esteriormente nelle orecchie, ma spiritualmente nei cuori: “Non abbiate il cuore nelle orecchie, ma le orecchie nel cuore”. E San Francesco d’Assisi esortava i propri fratelli a “inclinare l’orecchio del cuore”. Innanzitutto è importante l’ascolto di sé e il desiderio di ognuno di essere in relazione con gli altri e con l’Altro. L’ascolto aiuta la buona comunicazione, attenzione però che non sia ‘origliare’, tentazione sempre presente, acuita dai social media e attenzione anche a non ”parlarsi addosso” alla ricerca del consenso e con battute a effetto.
“È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni. Più che ascoltare, vogliamo imporre il nostro punto di vista”. Francesco cita il filosofo Abraham Kaplan “ il dialogo è un duologo, un monologo a due voci. Nella vera comunicazione, invece, l’io e il tu sono entrambi “in uscita”, protesi l’uno verso l’altro”. Ascoltare più fonti, ascoltare più voci, ascoltarsi, anche nella Chiesa, ci permette di esercitare l’arte del discernimento, che appare sempre come la capacità di orientarsi in una sinfonia di voci. La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione. “E in questo duro e lungo periodo di restrizioni, bisogna porgere ancora di più l’orecchio, ascoltando in profondità il disagio sociale, accresciuto dalle difficoltà economiche”.
Francesca Sammarco
La lettera integrale è consultabile al link https://bit.ly/3tZuNmp
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