NAPOLI – L’articolo di fine agosto di Ernesto Galli della Loggia comparso sul Corriere della Sera ha scosso non pochi benpensanti della città di Napoli, aprendo un serio dibattito/analisi sulla nostra bella e controversa città. Il punto più contestato è stato il seguente: “Le istituzioni sono lo specchio della società, non ha senso prendersela solo con loro. Se la nostra società è malata non possiamo pensare di diventare all’improvviso la Svezia. A Napoli c’è una borghesia, un ceto medio che ha subito una profonda trasformazione che rende molto improbabile l’eventualità di un riscatto. C’è stata una vera e propria camorrizzazione della borghesia. Il ceto professionale — avvocati, notai, commercialisti, eccetera — si trovano a dover lavorare con la camorra, magari chiudendo gli occhi, perché della camorra sono i flussi finanziari dominanti in città”.
Un’accusa grave per il ceto medio della città che ha sempre storto il naso verso il popolino sguaiato, sopra le righe e fastidioso della città che fa folclore: una cultura parallela, un modus viventi caratterizzato da uno stile di vita, di pensiero e di immagine. Donne con capelli tinti nero corvino, pantaloni attillati, unghie lunghe e finemente dipinte e decorate che scorrazzano su motorini rigorosamente senza casco con uno sguardo inutilmente fiero, ma pronto all’attacco riducendo la propria femminilità ad atteggiamenti aggressivi tipicamente maschili invece. Il loro grande desiderio è trovare l’amore della vita con cui poi condividere momenti quanto più social possibili… Cuori a petali di rosa, candele sulla spiaggia, festa di fidanzamento come un matrimonio per poi accettare la gelosia più malata del compagno come dimostrazione di un amore che sa di possesso, come recitano i testi delle canzoni che sentono da far impallidire le ultime residue femministe in via di estinzione.
I loro uomini, tatuati fino all’inverosimile sempre abbronzati con lo sguardo anche loro di rabbia, di conquista del territorio, con i loro piccoli affari di prevaricazione, ma fedeli a mammà e alla loro donna del momento che è appunto “roba” loro. Entrambi griffati da far invidia a Fedez e la Ferragni non così dissimili da loro. Hanno la loro musica, un fenomeno di notevole portata solo locale: i neomelodici. La loro “etica”, contro regole ed istituzioni, imbrattono la città, noncuranti della infinita bellezza che rappresenta perché ci passano accanto ma non la vedono né la considerano tale; hanno il loro codice di linguaggio spesso fatto di sguardi e gestualità con un dialetto che si allontana di troppo da quello tradizionale eduardiano. I figli, come trofeo social, si fanno presto e sono anche loro ingranaggio di un gioco con un’accudenza di scena, ma mai calata sui veri bisogni educativi; per cui la scuola soprattutto non è alleata se non condivide la loro visione egocentrica e narcisista del proprio figlio. Ma la scuola non è importante, la vera è quella di strada, dei loro padri sempre gasati al limite stile Gomorra, per cui non fa specie che i piccoli diventano finti grandi in fretta e scorrazzano per i vicoli a tutte le ore cercando di alzare il tiro delle loro bravate.Alla ricerca anche loro di visibilità e credito per essere riconosciuti da adulti indifferenti.
Quest’altra Napoli, in una visione politicamente scorretta, dà fastidio, porta avanti da sempre il peggior volto della città, attrattiva per i turisti di passaggio, ma fastidiosa per un minimo viver civile di una comunità cittadina in cerca di normalità, ma è quella che nasconde la vera piaga di questa città che Della Loggia denota come “camorizzazione della borghesia”: sono loro in realtà loro i veri ostili ad un possibile riscatto reale. Un discorso che andrebbe allargato all’intero Paese. La mentalità mafiosa e la connivenza con certe regole parallele allo Stato sono presenti in ogni luogo lavorativo. C’è un forte bisogno di una rieducazione ai valori, ad un’etica del lavoro la cui inesistenza paralizza e rallenta questa città e forse l’Italia. Tutti contro tutti, armati di una competizione malata che guarda solo a se stesso senza alzare lo sguardo ad una visione più larga e comunitaria di cui beneficeremmo tutti. E le due culture parallele che non comunicano, così diverse dovrebbero trovare un canale comune che risponderebbe a valori del viver civile che sono universali, ma in realtà si sono accomodati all’andare delle cose.
E poi ci sono quelli che ci stanno male: sono i residuali di una categoria di intellettualmente onesti, i creduloni di uno Stato basato sulla trasparenza e la legalità, i veri outsider di un luogo che non intende migliorarsi, sono quelli che si commuovono davanti ad un panorama di Napoli e del suo golfo, che ne apprezza la storia e la cultura e che soffre quando viene dipinta con i soliti stereotipi o raccontata solo attraverso la violenza e il trash: sono quelli che si organizzano in associazioni per ripulire la città, per educare al viver comune. Molti sono andati via, in realtà prigionieri della loro utopia di una città, forse la più bella del mondo.
Intanto San Gennaro ha fatto il miracolo, il Napoli ha vinto con il Liverpool e tutto va bene…
Angela Ristaldo
Nell’immagine di copertina, l’interno del Duomo durante l’attesa del miracolo di san Gennaro
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