MILANO – La leggenda che si narra da un po’, si perde nella notte dei tempi. Appena nacque il piccolo Bambin Gesù, i Re Magi diretti a Betlemme portarono i loro doni – oro, incenso e mirra. Sul tragitto, avendo delle difficoltà nel raggiungere la grotta della Sacra Famiglia, chiesero informazioni ad una vecchietta incontrata lungo la strada. Malgrado le loro insistenze, la donna non volle unirsi a loro per far visita al piccolo appena nato, per poi pentirsene. La vecchina preparò un cesto ricco di dolci di ogni tipo, uscì di casa e si mise in cammino alla ricerca dei Re Magi, senza però riuscirci. Così, ad ogni casa che trovava lungo il suo cammino si fermava per donare dolciumi ai bambini che vi abitavano, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Una vecchina che porta doni a tutti i bambini? Solo un cuore d’oro è quello della dolce befana. Nasce così la sua leggenda, una vecchina che di casa in casa, regala dolcetti ai bimbi buoni ed avrebbe un valore propiziatorio e di rinnovamento per l’anno nuovo.
Il nome Befana deriva da “epifania”, una parola greca che significa “manifestazione divina”. In tempi antichi, la dodicesima notte dopo il Natale è sempre stata dedicata alla luna e, con il termine epifania, si faceva riferimento alla manifestazione della luce lunare che avveniva proprio intorno al 6 gennaio. Con il passare del tempo il termine è stato trasformato prima in “bifania”, poi in “beffania”, fino ad arrivare alla Befana che conosciamo oggi. La Befana nel tempo è rappresentata come una strega benevola, generosa e dispensatrice di frutti della terra. I suoi doni (frutta secca, mele, arance…) vanno letti come offerte primiziali, richiamano i semi della terra. Il carbone, antico simbolo rituale dei falò, inizialmente veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo del rinnovamento stagionale. La cultura cattolica trasformò il carbone in simbolo di punizione per i bambini che si erano comportati male durante l’anno.
Nella civiltà contadina le calze della befana (una per ciascun bambino della famiglia), di solito erano appese sotto la cappa, perché la vecchia le trovasse subito. Si usavano le calze, perché le scarpe solitamente erano rotte, mentre le calze, soprattutto quelle di lana, si allargavano facilmente e, quindi, contenevano più doni. Molti le agganciavano direttamente alla catena del paiolo, altri a chiodi fissi in qualche angolo del focolare. Ma non tutti i bambini usavano appendere le calze per la Befana. Alcuni invece che le calze, mettevano bene in vista delle belle scarpe o degli stivaletti. La Befana, si sa, ha sempre tanti buchi nelle scarpe, così avrebbe potuto prendersi quelle nuove e lasciare in cambio i suoi doni. Se invece non ne aveva bisogno, lasciava le scarpe al loro posto riempiendole di doni.
Altra particolarità è che la Befana scende nelle case attraverso le cappe dei camini. Il motivo per cui sceglie questo luogo ben preciso è molto semplice: simbolicamente è un punto di comunicazione tra la terra e il cielo. Perché vola a bordo di una scopa? Da nord a sud, come già anticipato, l’Italia credeva che durante le dodici notti successive al solstizio d’inverno, delle figure femminili volassero sui campi per favorirne la fertilità. Con il Cristianesimo l’immagine di una donna che vola a bordo di una scopa fu subito associata a un atto di stregoneria e quindi condannato. Solo in un momento più maturo, il Cattolicesimo accettò questa antica tradizione associandola, nel XII secolo, alla leggenda dei Magi. La Befana non è certo bella, infatti tra naso e mento le sue sembianze sono simili proprio a quelle di una vecchia strega. Questo perché il suo aspetto anziano e un po’ bruttino rappresentava la raffigurazione dell’anno passato che porta con sé tutte le sue pene.
Per questo motivo in alcune zone d’Italia il fantoccio della Befana viene bruciato, come figura sacrificale così intesa dalla religione. Da qui deriva il motivo del carbone quale rimasuglio delle ceneri del falò. In epoca moderna a fare le veci della Befana sono sempre stati i cuori buoni dei nonni che, ogni anno, preparano calze di lana lavorate a mano piene di leccornie, lasciate appese ai caminetti o in altri posti “strategici”, non prima di aver fatto scrivere ai nipotini una lettera indirizzata nella quale esprimere i propri desideri. Con il passare degli anni anche la calza è cambiata; in passato erano meno ricche e più semplici, con frutta secca e zucchero d’orzo fatto in casa, mentre in anni più recenti si è passati ai dolciumi e alle caramelle.
L’Epifania, con la tradizionale calza ricca dolci, rappresenta un business per circa 3.400 imprese attive nel settore dolciario, con un giro d’affari di circa 100 milioni in tutta Italia. Così i bimbi buoni ricevono leccornie, ma per i più “monelli” sono previsti tutt’altri doni: carbone, cenere, cipolle, aglio, carote. Calza a parte, l’Epifania rappresenta, da sempre, un’occasione per stare in famiglia e trascorrere del tempo insieme, l’ultimo giorno di festa delle vacanze di Natale, perché come recita la tradizione popolare ”l’Epifania tutte le feste le porta via”.
Claudia Gaetani
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