SANT’ANGELO ROMANO (Roma) – Dal 1883 sforna musicanti e partecipa a tutto ciò che succede in paese, che si tratti di feste o ricorrenze, processioni o funerali. A Sant’Angelo Romano non si muove foglia senza che la banda Medullia non voglia, un po’ perché quasi non c’è famiglia che non vi sia stata rappresentata, nell’avvicendarsi di ben quattro generazioni, e un po’ perché con i suoi 140 anni “suonati” sa tenere giovani e meno giovani impegnati in un’attività che piace: la musica.
Tra quelli che hanno contribuito di più alla crescita di questa bella realtà ci sono i Croce, di cui oltre all’attuale maestro Claudio, figlio di Agostino, si possono contare oggi diversi componenti. E proprio ad Agostino si deve l’unico “documento” esistente sulla Medullia, un libro pubblicato nel 1983 quando sulla torta ci furono per lei le prime cento candeline da spegnere. Ma è stata la famiglia Caretti a dare alla banda il primo direttore d’orchestra: Americo. Con i Lucarelli arrivò anche Mario, grande sostenitore del gruppo e leggendario capobanda, mentre agli Spagnoli si deve riconoscere un afflusso di giovani leve. Poi non si possono certo dimenticare i Bergamini, i Mariani, i Lupi, Franceschilli, De Sena, Cornacchia, Meloni, Schembri, De Luca, Morlungo, Tata, D’Antoni, Domenici.
Tra le tantissime che le hanno dato lustro, una menzione speciale va però riservata alla famiglia Giardini che ha fornito musicanti alla Medullia nel corso di un secolo e oltre, forse un caso unico nella storia nazionale delle bande. Iniziò Domenico, detto Minicucciu, nel 1896. Suonava il clarinetto con cui fu immortalato nella foto pubblicata nel libro di Agostino Croce “Sant’Angelo Romano. La mia terra”. Era l’anno 1923. Dopo di lui tra i Giardini si sono distinti in banda i figli Egidio e Palmiro, e poi il figlio di quest’ultimo, Marco: classe 1962, è anche lui un caso se non proprio unico, almeno raro. Docente di scienze noto anche nel mondo accademico, ha festeggiato il suo mezzo secolo ininterrotto di marcette, dal 1974 in poi, con il suo clarinetto. “Per me – dice Marco Giardini– la banda è come la famiglia e non a caso anche i miei figli Monica e Daniele suonano con me”.
La banda come la famiglia e, infatti, nonostante Marco sia impegnatissimo nel suo lavoro e nella ricerca scientifica ma anche come studioso di cose locali e di dialetto, non ha mai fatto mancare il suo apporto all’interno o all’esterno del Consiglio direttivo. “Restare a far parte di un’associazione per così tanto tempo – spiega – richiede una grande passione, il senso di appartenenza ad una comunità, la volontà di fornire un qualche contributo alla crescita (o almeno alla sopravvivenza) dell’associazione ma soprattutto capacità di mediazione e una elevata dose di pazienza”.
Una banda è come un piccolo mondo, dove convivono persone accomunate solo dalla passione per la musica e forse da niente altro. “Per questo motivo – continua Marco – alcuni musicanti prima o poi vanno via”. Antipatie, permalosità, incomprensioni, voglia di prevalere sugli altri, questioni di principio, insofferenza, disaccordo sulle strategie, possono provocare anche violenti scontri nel gruppo. “Ma la Banda Medullia è ancora lì – conclude il prof. musicante – dopo 141 anni di vita”. Deve averne viste davvero tante la vecchia signora di Sant’Angelo ma forse proprio questo l’ha resa saggia e pronta a reggere ogni scossone. Per i prossimi cento anni, almeno a giudicare dal suo stato di salute.
Gloria Zarletti
Nell’immagine di copertina, la banda musicale Medullia di Sant’Angelo Romano intorno al 1923: Domenico Giardini, in prima fila, con il clarinetto, è il quarto da destra
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