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Ius scholae: in 900mila attendono una risposta

di | 2022-08-19T18:33:50+02:00 21-8-2022 6:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

MILANO – Gli sbarchi dei migranti sulle nostre coste si può dire, alquanto semplicisticamente, che vengano recepiti in maniera duplice: da una parte la disponibilità all’integrazione, all’accettazione di uomini e culture diverse visti come arricchimento; dall’altra un rifiuto totale e pregiudiziale del diverso, visto come un nemico, un “attentatore” ai propri diritti. Duplicità che si ritrova in ambito linguistico-semantico: il termine greco per indicare l’ospite è xénos, lo stesso che designa lo straniero; analogamente in latino il termine hostis (nemico) ha la stessa radice di hospes (ospite), dualismo lessicale comune anche ad altre lingue indoeuropee.

La ξενια (Xenia) era il concetto di ospitalità nell’antica Grecia, percepito come sacro e protetto da Zeus ξενιος (Xenios). Il padrone di casa che avesse negato ospitalità allo straniero, sarebbe incorso nell’ira di Zeus. La grecista Cantarella sottolinea che “la philoxenia è una legge non scritta di ospitalità ed è bene ricordarlo in un tempo come quello attuale in cui il Mediterraneo è diventato un muro per chi tenta di valicarlo per salvarsi la vita”. Anche nel mondo latino all’ospitato venivano garantiti sia la parità con l’ospitante sia i diritti del popolo romano “… erant pari iure cum populo Romano” (godevano di pari diritti col popolo romano); infine anche la Bibbia attribuisce valore grandemente positivo all’accoglienza dei forestieri, spesso definiti “angeli”.

Occorre sottolineare, tuttavia, che i ritardi della politica, la latitanza dell’Unione Europea e la carenza di norme regolatrici del flusso migratorio, hanno spesso lasciato pesare sui paesi che, per conformazione geografica, accolgono i migranti tutta la gravità del fenomeno e di conseguenza non hanno sicuramente favorito un processo di integrazione, anzi hanno spesso dato forza a posizioni di rifiuto, perfino di xenofobia. Da anni in Italia si attende una riforma sostanziale della legge sulla cittadinanza, che riconosca uguali diritti a tutti quegli Italiani che vivono, sono nati nel nostro paese, ma non lo sono per la legge. È più acceso, proprio in questi giorni, il dibattito intorno alla proposta di legge sullo “Ius scholae” che prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana per i figli di migranti nati in Italia o arrivati prima del compimento del dodicesimo anno e legalmente residenti, con una frequenza almeno quinquennale nel nostro Paese di uno o più cicli scolastici.

Non riconoscere la cittadinanza italiana a questi bambini o giovani mina il loro senso di appartenenza e di partecipazione alla vita sociale. Save the children riporta che “erano 877mila gli alunni con cittadinanza non italiana nell’anno scolastico 2019/2020, quasi 20mila in più rispetto all’anno scolastico precedente”. Questi bambini siedono accanto ai nostri figli, studiano gli stessi argomenti, amano gli stessi giocattoli, fanno il tifo per gli stessi giocatori, condividono gli stessi momenti, ma il mancato ottenimento della cittadinanza li esclude sicuramente da un’integrazione totale. Un milione e quattrocentomila ragazzi, dei quali 900mila alunni delle nostre scuole, aspettano di essere cittadini italiani e di fronte a questa realtà la politica discute, si divide o peggio cavalca maldestramente posizioni populiste; in definitiva resta ancora distante dal paese reale, non prende atto dei suoi cambiamenti né tantomeno provvede alle sue necessità.

Adele Reale

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