ENNA – Ore 10. Ricreazione. I ragazzi fanno capannello attorno alle ragazzine, si scambiano sorrisi, battutine e qualche morso di panino. Sono finalmente liberi dalla mia lezione di letteratura. Hanno voglia di vita e Pascoli certo non è il massimo in materia. Cerco con gli occhi Rosario che è accanto al suo compagno e origlio i loro discorsi: stanno parlando di funghi. Rosario, a fronte dei suoi tredici anni, è un grande conoscitore di funghi e verdure spontanee da suscitare invidia a più esperti micologi. Gli faccio cenno di avvicinarsi e gli chiedo di parlarmi del suo ultimo esperimento: un incubatrice per covare le uova.
I suoi già immensi occhi blu si dilatano e gli si accende un sorriso che mette in mostra tutti i suoi denti, mentre le guance gli si imporporano. È felice! Felice perché io, che di verdura conosco solo quella del supermercato e di pulcini so poche cose apprese sui libri, mi interesso al suo mondo e alle sue passioni. Allora lui, che di solito è taciturno, mi racconta con la velocità di una slavina il suo esperimento. A un certo punto devo bloccarlo perché mi mancano dei passaggi, lui mi guarda nuovamente e in modo candido mi dice: “Professorè, andiamo di là nell’auletta di laboratorio e gliela faccio vedere, così capisce meglio”. Stavolta le guance rosse sono le mie e nel frattempo la campanella segna la fine della ricreazione.
Andiamo di là e trovo una scatola, sormontata da una più piccola; lui la apre delicatamente e ci troviamo 13 uova contrassegnate da una x, una lampada ad incandescenza, un termometro e un fondo di bottiglia colmo d’acqua. Adesso sono proprio curiosa, mi entusiasmo anch’io e inizio a porgli domande. Risponde con sicurezza, sa parecchie cose: che la temperatura deve essere tra 37 e 40 gradi, che bisogna mantenere una certa umidità e come capire se un uovo è fecondato o no. A questo punto mi chiede di accendere la torcia del mio telefonino, prende delicatamente un uovo e mi invita ad osservare all’interno, a intercettare le macchioline può scure. Ne prende ancora un altro dal guscio bianco e sottile e mi fa riprovare. “Ecco vede, vede, qui, qui”, indica con il dito macchiato di olio di motorino, perché a montare e smontare pezzi ormai gli è venuta la mano da meccanico. “Bisogna aspettare ventuno giorni e girare le uova continuamente perché il calore si possa diffondere in modo omogeneo, così come fa la chioccia che, con il becco, ruota le uova”, continua a spiegare con voce ferma e senza esitazione alcuna.
Ecco perché i segni: un modo per individuare il lato, un modo per fugare il dubbio. Prima di rinchiudere controlla di nuovo la temperatura e mi dice che si sta abbassando, allora rimettiamo tutto a posto con le uova sul lato x e torniamo in classe. La lezioni continua e, dopo la scienza, inizia quella di saggezza popolare: “Professorè, dimenticavo: le uova si mettono sempre in numero dispari, se no non nascono”. Strabuzzo gli occhi e chiedo il perché, lui non si scompone e serio mi risponde: “Professorè, è accussí: l’antichi nun si sbagghinu mai. Sempri dispari”.
Rosario continua a parlare: racconta, gesticola, s’illumina. Suona di nuovo la campanella a indicare che la lezione è finita. Sono un po’ dispiaciuta perché mi piaceva essere come quel fanciullino pascoliano che si meraviglia per poco e ride di niente, ma allo stesso tempo soddisfatta di essere stata per una volta alunna di un grande maestro. Non si finisce mai di imparare. Grazie Rosario perché ho avuto la riconferma che voi ragazzi non finirete mai di stupirci e talvolta di instupidirci. Ma questa è un’altra storia.
Tania Barcellona
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