Perché parlare inglese a tutti i costi, sempre e comunque? La risposta è molto semplice, quasi scontata: perché è la lingua più diffusa nel mondo e quindi (più o meno) la masticano tutti, perché di fatto il marketing aggressivo e pervasivo ha imposto che bisogna usare certi termini anglofoni e non i corrispettivi italiani. Che pure esistono e sono ugualmente validi e convincenti. E così accade che si dice comunemente lockdown e non confinamento, contest invece di gara, play off e play out piuttosto che spareggi promozione o salvezza. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito e alla fine ci accorgeremmo che usiamo sempre più spesso gli inglesismi: in modo spontaneo, quasi senza rendersene conto.
In questi ultimi giorni, un ulteriore esempio arriva dalle tre serate televisive dedicate a quello che una volta si chiamava Eurofestival e che oggi, proprio in ossequio a quanto si diceva in precedenza, è diventato Eurovision Song Contest. Semplicemente il festival della canzone europea. Innanzitutto, è balzato immediatamente agli occhi che la stragrande maggioranza degli artisti ha cantato in inglese, tralasciando colpevolmente di esibirsi nella lingua del proprio Paese d’origine. Una vergogna che trova motivazione solo nella opportunità di essere compresi dal maggior numero possibile di telespettatori (che poi sono quelli che votano e che consentono di andare in finale ed eventualmente anche di vincere).
Ma in questo caso la soluzione per evitare tale squallido opportunismo è di introdurre una semplice norma che obblighi i partecipanti a cantare utilizzando la lingua madre. E per dare la possibilità di comprendere il testo, esistono i sottotitoli che possono accompagnare l’esibizione senza inficiarne il valore artistico, coreografico o spettacolare. Non è difficile: basta volerlo.
Ma ciò che colpisce ancora di più e molto sfavorevolmente è che i tre presentatori (gli italianissimi Alessandro Cattelan e Laura Pausini, oltre che l’italo-libanese Mika) abbiano spesso utilizzato l’inglese sul palco torinese. Perché? Che senso ha? E questa è una scelta precisa della Rai che ha organizzato con grande dispendio di mezzi la manifestazione. Anche in questo caso, trattandosi di un copione scritto e provato, si potevano utilizzare i sottotitoli e anche la telecronaca di chi invece commentava in diretta la gara. Ma se la rassegna si fosse tenuta in Francia, sarebbe mai potuto accadere? La risposta è no. Perché i francesi, molto più che noi italiani, difendono la loro storia e la loro lingua anche in occasioni apparentemente futili o comunque ludiche. Persino nel logo della rassegna hanno scritto “Turin 2022” e non, com’era logico, “Torino 2022”. Incredibile.
Ampliando il discorso e passando allo sport e, nello specifico, al calcio (che è nettamente la disciplina più popolare e più seguita), sarebbe opportuno che tutte le società impongano ai loro tesserati da qualunque parte del mondo provengano, di esprimersi in italiano nei contatti con la stampa e nelle interviste. Il signor Cristiano Ronaldo (portoghese d’origine, con trascorsi in Spagna e in Inghilterra) ha incassato uno stipendione di oltre 30 milioni di euro l’anno dalla Juventus e non ha mai spiccicato una sola parola nella nostra lingua, almeno in pubblico. Uno scandalo che Manchester United o Real Madrid (le società in cui aveva militato in precedenza) non avrebbero mai accettato.
Il signor Rabiot, anch’egli alla Juventus, non ha mai parlato in italiano nelle rarissime interviste che concede: lui si esprime in francese (per la cronaca incassa 7,5 milioni di euro l’anno). A Donnarumma e Verratti, che giocano nel Paris Saint Germain, sarebbe mai permesso simile comportamento? Gli allenatori italiani che hanno lavorato in Inghilterra (Mancini, Capello, Sarri, Conte) prima ancora di cominciare la stagione seguivano corsi intensivi di inglese per imparare subito la lingua della nazione che li ospitava e li pagava. Ma non è una mera questione economica: è solo rispetto doveroso per la terra in cui si opera e per le persone che la abitano.
Insomma, basta con l’inglese a tutti i costi: non se ne può proprio più.
Buona domenica.
Nell’immagine di copertina, i presentatori dell’Eurofestival: Alessandro Cattelan, Laura Pausini e Mika
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