MILANO – Lo scorso mese il presidente Mattarella ha nominato 29 giovani “Alfieri della Repubblica”, i temi erano “solidarietà per l’ambiente e cultura”; sono state inoltre assegnate tre targhe per azioni collettive di giovani e giovanissimi che hanno espresso con grande forza questi valori. Il riconoscimento con l’iscrizione “Per la forza della loro amicizia” è stato assegnato alla classe VA della Scuola primaria – Istituto comprensivo di Trasacco (AQ). Gli alunni, in visita a Roma, hanno deciso di rinunciare al tour dei monumenti e musei, pur di non lasciare da solo il loro amico, costretto a rimanere sul pullman per un guasto irreparabile alla pedana. Amico “diverso”, certo, ma amico da non relegare in disparte con altri “diversi”. Il loro comportamento non ha escluso, né “inferiorizzato” la disabilità, né tanto meno l’ha incasellata in categorie prestabilite dalla cosiddetta normalità.
Il termine “inferiorizzare” ricorre nelle opere di Matteo Schianchi (storico, ricercatore universitario ed ex-nuotatore della nazionale paraolimpica) che sostiene come di fronte alla disabilità aumentino le nostre paure e perdano valore le ordinarie modalità di rapportarci alle persone ed allora “cerchiamo di ristabilire un ordine…, ma in questo modo costruiamo gerarchie, inferiorizziamo”. In fondo i bambini hanno dato una lezione a tutti: la scuola non deve misurarsi solo sulla qualità e quantità delle nozioni, ma anche sulla formazione e sull’educazione della persona.
“La scuola educa alla vita, di tutti e con tutti. Solo così cresce una società, senza barriere, ghetti, emarginati […] non allontaniamo i nostri figli ‘diversi’ dai compagni normali”, si legge nella lettera – pubblicata sul quotidiano Avvenire – di un padre che per tanti anni ha accompagnato a scuola suo figlio Edoardo, disabile grave. Egli ha così risposto alle considerazioni del generale Roberto Vannacci sul supposto impedimento che costituirebbe la presenza di disabili nelle classi. Il generale, candidato alle prossime elezioni europee nelle liste della Lega, ha affermato di voler proporre la ricostituzione delle classi differenziali.
Nel nostro sistema scolastico erano presenti sin dagli inizi del ‘900 percorsi didattici ed esperienze differenziate per alunni “ritardati”; classi speciali “per fanciulli deficienti “; sezioni per ciechi, sordi o altri disturbi specifici. In seguito, con la legge n°1859 del dicembre 1962 le classi differenziali vennero ufficialmente istituite per alunni disabili o affetti da disturbi dell’apprendimento o con problemi di socializzazione. Inquadrati in quest’ultima categoria, vi finirono gran parte dei figli degli immigrati meridionali (tra il 1958 e il 1963 abbandonarono le loro case verso le regioni centro-settentrionali circa 1.300.000 persone); l’unico deficit di questi bambini era la scarsa frequentazione con la lingua italiana. Alla fine degli anni ’70, la legge 517/77 istituì la figura dell’insegnante di sostegno ed abolì le classi differenziali; ulteriore merito per l’Italia fu anche essere stato uno dei primi paesi a superare la ghettizzazione delle scuole speciali.
Certo la realtà di tante scuole ancor oggi non riflette lo spirito avanzato delle norme e non sempre si può parlare di integrazione; facendo nostre le parole di Schianchi “la disabilità fa parte del nostro essere uomini”, potremmo tutti contribuire ad un radicale cambiamento, oltre che legislativo, soprattutto relazionale, culturale e sociale per non dar spazio a velleitari tentativi di ritorno al passato e di negazione di diritti uguali per tutti. Le affermazioni di Vannacci avrebbero dovuto suscitare unanime sdegno ed invece, accanto alla condanna di tanti, hanno raccolto anche consensi. In un blog in rete un professore del Conservatorio di Milano ha scritto che nelle classi italiane ci sono troppi disabili ed ha auspicato un ritorno alla Rupe Tarpea. Ci si rammarica, tra l’altro, per l’errore storico grossolano: sulla rupe Tarpea, infatti, i Romani decapitavano i traditori o li scagliavano nel vuoto, mentre è dal Monte Taigeto che gli Spartani – evento peraltro ancora dibattuto storicamente, perché attestato da un’unica fonte letteraria, l’opera di Plutarco, Vite parallele (fine primo secolo a.C.) – gettavano i neonati deformi.
Nella Storia più recente, queste idee rimandano al progetto Aktion T4, operazione di eugenetica realizzata dai nazisti dal 1933 al 1941, che causò l’uccisione, tra gli altri, di circa duecentomila persone con disabilità e considerate “indegne di vivere”. In specifico nelle scuole, luogo prescelto dalla macchina per la propaganda di regime, si proponevano agli indottrinandi ariani consegne didattiche di questo tipo: “Un malato di mente costa circa 4 marchi al giorno, un invalido 5,5 marchi, un delinquente 3,5 marchi. Generalmente un funzionario pubblico guadagna 4 marchi ogni giorno, mentre un impiegato privato solo 3,5 marchi: rappresenta graficamente queste cifre”.
Si può facilmente intuire quali commenti accompagnassero i grafici. Le ultime, sempre in linea storica, considerazioni sulla disabilità non possono e non devono essere, pertanto, derubricate a semplici “chiacchiere da bar”; non solo perché di fatto a caldeggiarle non sono generici avventori davanti a calici inebrianti di alcolici; ma anche perché esse in un contesto di crisi , vuoi per una certa abilità retorica, vuoi per il prestigio e l’importanza dei ruoli che ricoprono coloro che le sostengono, risvegliano il substrato peggiore dell’essere umano ed è risaputo che “il sonno della ragione genera mostri” (Francisco Goya, 1797).
Adele Reale
Nell’immagine di copertina, la cerimonia di consegna delle onoreficenze “Alfieri della Repubblica” al Quirinale
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