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Con Daniele verso l’Ucraina in guerra

di | 2022-03-20T16:10:56+01:00 20-3-2022 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

VAGLIAGLI (Castelnuovo Berardenga – Siena) – “Quando la luna perde la lana e il passero la strada / quando ogni angelo è alla catena ed ogni cane abbaia / prendi la tua tristezza in mano e soffiala nel fiume / vesti di foglie il tuo dolore e coprilo di piume”: cantando le canzoni di De Andrè, Pink Floyd, Dire Straits si intraprende un altro viaggio. Daniele Bellofiore, proprietario di un B&B dal nome evocativo: “Un posto nel mondo”, da sempre impegnato in prima linea verso il limes dei più fragili, racconta la sua “seconda missione” verso l’Ucraina.

Daniele e Rosario

“Voi colpite un ospedale pediatrico e noi salviamo altri cento, mille bambini… Voi distruggete case e vite, ma noi porteremo le persone verso altre case e altre vite. Voi bombardate una fila di civili in fuga e noi li recupereremo più velocemente. Voi non vi fermerete, ma noi non ci arrenderemo. Mai”. Con questo mantra si apre il tour verso una terra a metà tra falchi e colombe. Dopo la prima esperienza fatta al confine con la Polonia, il gruppo guidato da Daniele, è adesso più compatto e organizzato, i volontari hanno più consapevolezza e la rete di aiuti si fa sempre più fitta.

“Questa volta faremo più tappe – spiega -. Ci è stato segnalato, cosa che accade purtroppo spesso, che ci sono zone come Przemysl, già ampiamente coperte dagli aiuti e dalle associazioni, e altre meno raggiunte, quindi lì, lasceremo solo le cose necessarie, mentre il resto verrà portato nelle zone di confine meno pubblicizzate, ma con situazioni disperate, come Lublin”. Si ferma e poi continua: “Portiamo aiuti di vario genere, ma questa volta ancora più specifici, soprattutto medicinali particolari, grazie ai contatti sul territorio. C’è disperazione ma invece dei fucili, preferiamo portare acqua, cibo, medicine, coperte, omogeneizzati, vestiti, pasta, riso, abiti per bambini, pannolini. Io, noi… la guerra la facciamo così”.

Daniele e i suoi passeggeri

Volontari pronti a partire

E poi? “Faremo recuperi di persone che trasporteremo in Italia”. Prima della partenza ci sono ancora dei posti liberi, inizialmente vengono segnalate tre donne e tre bimbi da riportare. “In questo viaggio di andata risponderemo alle esigenze specifiche di ogni singolo luogo che toccheremo – commenta – evitiamo sprechi e cerchiamo di essere più efficaci, anche alla luce delle esperienze nostre e di altri. Abbiamo con noi alcuni ragazzi specializzati e formati sia in ambito sanitario che di assistenza sul campo, quindi, se servisse e secondo il parere delle guide, possiamo anche dare una mano attiva sul territorio. Oltre all’intervento diretto, continuiamo a cercare e trovare chi può ospitare i nostri passeggeri ucraini in Italia”.

Stefania, 80 anni, è arrivata finalmente in Italia

Daniele infatti insieme a una volontaria, Claudia Neuhoff, sta creando un database in cui inserire le disponibilità delle persone che vogliono ospitare singole persone o famiglie, provenienti dall’Ucraina. “Questa iniziativa – afferma Claudia – è nata per una doppia esigenza: da una parte rispondere alle segnalazioni di persone che hanno necessità di un ‘passaggio’ verso l’Italia, perché hanno già familiari o altri appoggi, dall’altra ottimizzare le segnalazioni di chi vuole ospitare famiglie ucraine che non hanno nessuno in Italia”. “L’emergenza che si verrà a creare – continua – soprattutto nelle prossime settimane, sarà delle persone che qui non hanno riferimenti. Per questo stiamo creando un ‘archivio’ con un form, per chi volesse dare ospitalità, anche per brevi periodi”.

Aiuti anche per gli animali

Intanto, mentre Claudia ottimizza le liste, il viaggio di Daniele, con una piccola flotta di mezzi prosegue: ma come funziona? “Portiamo beni fisici e riportiamo persone – spiega – tramite chi ci scrive direttamente e indirettamente tramite le associazioni, i volontari, le guide… Molti sono in partenza verso il confine, anche di altre nazioni, non solo verso la Polonia. Ormai abbiamo creato una vera rete. Stiamo sostenendo il viaggio di diverse persone, volontari che ci hanno scritto per avere suggerimenti e li abbiamo indirizzati, grazie ai contatti, dove ce n’era più bisogno. Ci sono situazioni difficili, soprattutto quando si tratta di anziani e di persone con fragilità. So per esempio che ci sono cinquanta bambini che devono trovare un passaggio attraverso la Romania, altre persone sono ferme al confine con la Slovacchia. Tutte queste sono informazioni che condivido indirettamente con altri volontari”.

Al confine con l’Ucraina

Daniele è partito e ha fatto più tappe. E’ stato a Vienna e poi in una scuola trasformata, velocemente, in un centro di accoglienza per donne e bambini. E’ stato alla stazione di Przemysl che definisce “un fiume in piena di dolore e dignità”, per poi proseguire verso Lublin e Chelm, per lasciare aiuti ma anche per riabbracciare Rosario e Bart. E il ritorno: “Riportiamo 14 persone. In macchina con me c’è una mamma, Lyuba, con un bimbo di 3 mesi, un miracolo, li prenderò a Legnica, poi ci fermeremo a Vienna, insieme agli altri volontari che hanno recuperato persone in luoghi differenti”. Gli altri ‘corrieri/corridori di vite’ sono Stefano che guida un pulmino e con sé riporterà due donne e un bambino (Nadia, Katia e Dima di 3 anni), con destinazione Codigoro; nel tragitto recupererà a Varsavia, anche un’altra donna (Xenia) e un bimbo di 2 anni e mezzo.

Invece da Lublin, Michael e Valentina (di Roma) porteranno una signora anziana con destinazione Napoli e un’altra donna sempre con un bambino, a Milano. Intanto Sofia supporta Stefano per alternarsi alla guida e per dare assistenza alle persone in viaggio, mentre Valentina (di Napoli) porterà una famiglia di 4 persone da Lòdz a Roma: una donna di 78 anni, una di 25 anni, due bimbi di 4 mesi e 5 anni. “In pratica -prosegue Daniele – i nostri passeggeri vengono recuperati sia lungo il confine, nei centri provvisori di accoglienza per rifugiati, che nelle città principali della Polonia dove erano stati trasferiti. Ci muoviamo sia all’interno che all’esterno”.

I segni della stanchezza sul volto del giovane sono visibili, si scusa perché parla con difficoltà per l’evidente perdita di sonno, è chiara la fatica, ma risalta ancora di più la fierezza per quel che fa, la “missione”. E quel che fa, lo fa scientemente, con responsabilità. “Non trasportiamo dei pacchi – afferma con determinazione -. Noi consideriamo prioritario ciò che hanno passato queste persone”. In che modo? “Il viaggio di ritorno – afferma con orgoglio – deve avvenire in uno stato di comfort. Le persone che sono scappate dall’inferno devono sentirsi bene, iniziare a riprendere fiato già quando salgono in macchina. Facciamo numerose soste, ma non solo in autogrill per un caffè e un panino. Cantiamo e cerchiamo di creare un clima sereno e familiare. Con Stefania, una dolcissima nonna ottantenne, durante il primo viaggio, pur non parlando la stessa lingua ci siamo messi a cantare ‘Bella ciao’. E’ un modo per alleviare la loro stanchezza. Inoltre facciamo delle soste negli alberghi, durante il percorso, perché queste persone devono potersi fare una doccia e mangiare con noi, rilassarsi e devono sentirsi accolti già da subito”.

Il tono cambia: “Lo scopo non è farle arrivare il più velocemente possibile in Italia. Non puoi far fare a una persona che è appena fuggita da una guerra, che ha lasciato il suo paese, i suoi uomini, i suoi cari e che magari è stata in un centro di accoglienza, venti ore di macchina. Inoltre vorrei segnalare che in diversi alberghi d’Europa fanno delle tariffe agevolate per chi ha il passaporto ucraino, il mio consiglio è organizzarsi per garantire un viaggio confortevole”. “Io vorrei ringraziare – scandisce commosso – oltre ai volontari che sono con me, anche tutte le persone che hanno finanziato il viaggio, ci sono dei benefattori che hanno pagato il noleggio del pulmino e fatto altre donazioni insieme ad altri che hanno raccolto fondi, medicine e beni che abbiamo richiesto, attraverso vari passaparola, attraverso i social, persone che hanno reso possibile questa missione. Da soli non saremo riusciti ad affrontare tutto”.

“Noi adesso ci stiamo muovendo lungo il confine – confessa – ma con Stefano stiamo valutando di spingerci oltre, per portare il nostro aiuto direttamente all’interno, muovendoci con associazioni che ci conoscono e non solo. E poi c’è anche un progetto interessante con una scuola pugliese che metterà a disposizione dei mezzi, dei pulmini, per altri viaggi”. Qual è la fotografia del confine polacco? “Ci sono tante donne e uomini, famiglie – risponde – che ci danno una mano e che ci hanno aiutato a creare una rete, perché la coordinazione è tutto, ci hanno anche dato ospitalità. L’unica critica costruttiva che posso muovere per quel che vedo in queste zone è che però non basta solo la voglia di aiutare insieme all’entusiasmo: fondamentale è l’organizzazione”.

Si gioca, nonostante la guerra…

Cosa suggeriresti a chi deve partire per il confine? “Prima bisogna pianificare: cosa portare, dove portare, a chi portare, quali tappe fare, come arrivare alle persone che devono tornare in Italia. Chi fugge è stanco, provato, sconvolto, sa solo che vuole scappare e nemmeno ti conosce, dobbiamo essere noi a trovare un modo, un approccio. E’ necessario avere dei contatti sia sul luogo che in Italia, non puoi lasciare le persone in un parcheggio o in un altro centro di accoglienza ad aspettare che qualcuno li vada a recuperare. Non sono pacchi, ma persone delicate, ferite interiormente. Una modus operandi pianificato alla partenza fa la differenza per loro e anche per noi”.

Una fotografia del gruppo: Daniele e poi? Un team di persone motivate provenienti da tutta Italia che fanno poche chiacchiere e tanti fatti, tra questi Stefano, Michael, Sofia e Valentina da Napoli e Valentina da Roma. “Io sento una forte responsabilità ogni volta che partiamo – conclude Daniele Bellofiore -. Devo respirare forte prima di mettermi in macchina e mi tremano le mani, quelle anime che porto in Italia sono dei tesori da proteggere. I nostri passeggeri sono dei vasi con delle crepe che non si possono riparare ma vanno curati, come facevano i giapponesi, trasformandoci in oro liquido: l’arte dello Kintsugi”.

Alessia Orlando

Nell’immagine di copertina, un gruppo di volontari della rete creata da Daniele Bellofiore

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