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Il ruolo del giornalista ai tempi del Covid

di | 2020-09-11T12:11:02+02:00 13-9-2020 6:10|Attualità, Cultura, Sezione 3|0 Commenti

NAPOLI – Questi mesi di chiusura forzata hanno portato e continuano a portare tante limitazioni, tanti sacrifici, umani ed economici. Dai media nazionali e internazionali risulta che le classi lavorative più in crisi sono le attività commerciali in attesa di sussidi e sostentamenti a tutti i livelli (alcuni arrivati, altri ancora no). Solo in un secondo momento si è cominciato a porre l’attenzione su attività fallite – secondarie (?) – che dipendono in maniera diretta dalle prioritarie: si parla in questo caso di locali, ristoranti in zone di ufficio, cartolerie, insomma attività che hanno dovuto chiudere perché si è continuato a lavorare in smart working. E quindi commessi dei negozi, camerieri, fattorini, dipendenti dei locali e tanti altri hanno dovuto arrendersi. Ma è solo un esempio, ce ne sarebbero ancora molti.

Quello che più direttamente ci ha colpiti è stata l’attività di giornalismo, ridotta anch’essa a casa e privata del suo più accanito cliente: la realtà.

Se il lavoro deve ritrovare tutte le dimensioni dell’incontro, nessun lavoro è più simbolicamente in crisi di quello di chi opera nei media: un mestiere che ha la sua ragione e la sua sostanza nell’incontro quotidiano con una realtà da raccontare, con persone, idee, avvenimenti che chiedono ogni istante di essere incontrati, letti e poi scritti. Certo non è mancata la notizia, anzi sembra essere prolificata ma sicuramente è risultata spesso priva del suo sangue.

Nella società digitale, nella quale l’intelligenza naturale si ritrova ormai in competizione aperta con quella artificiale, la tecnologia riduce fortemente la necessità di contatto, di incontro, di rapporto diretto fin quasi a cancellarla. E fra le prime vittime spicca il lavoro di chi si propone di dar forma all’incontro fra la realtà e i suoi osservatori più attenti e interessati. Se tutti diventiamo produttori di articoli stando comodamente seduti sul divano, il lavoro del giornalista ha probabilità di sparire. La sfida lanciata a se stesso dall’uomo tecnologico deve essere raccontata. E questa è una evidente sfida culturale ancora non riducibile alla semplice innovazione di processo e prodotto.

È ciò che ha intuito il giornalista Pedro Cuartango, che in un articolo ha scritto: “Sono isolato in un’abitazione piena di libri e dischi, ma la mia reclusione, che nei primi giorni mi sembrava gradevole, si è trasformata in un tormento. La devastazione che ci circonda tutti è insopportabile. Invidio coloro che fanno qualcosa per gli altri”. L’attività di incontro del giornalismo deve ritornare, a tutti i livelli, a prendere piede.

Il giornalista svolge bene il proprio ruolo di mediatore socio-culturale, se avrà contribuito a difendere la pretesa di un giornalismo non ridotto a trasmissione asettica di dati reperiti sui social.

Innocenzo Calzone

Giornalista pubblicista, architetto e insegnante di Arte e Immagine alla Scuola Secondaria di I grado presso l’Istituto Comprensivo “A. Ristori” di Napoli. Ha condotto per più di 13 anni il giornale d’Istituto “Ristoriamoci”. Partecipa e promuove attività culturali con l’associazione “Giovanni Marco Calzone” organizzando incontri e iniziative a carattere sociale e di solidarietà. Svolge attività di volontariato nel centro storico di Napoli con attività di doposcuola per ragazzi bisognosi; collabora con il Banco Alimentare per sostenere famiglie in difficoltà. Appassionato di arte, calcio e musica rock.

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