Basta un nulla a far riaffiorare ricordi ammassati nel fondo della memoria. Come un volumetto che scivola dallo scaffale della libreria e cade sul pavimento. Lo raccogli ed ecco che riemergono emozioni spinte giù nel profondo dallo scorrere, inesorabile, del tempo e dei fatti della vita. Il libriccino si intitola “I naufraghi del Poplador”, autore Emilio Salgari, editrice Carroccio Milano, finito di stampare il 6 agosto 1947. I fogli sono ingialliti, la copertina risulta lisa, il dorso presenta, addirittura, un piccolo strappo. Frutto evidente delle letture e riletture di quegli anni lontani. Ora rammento: è il primo libro, che nella seconda metà degli anni Cinquanta, ho acquistato di persona. Con i miei soldini. No, non ero un bambino-lavoratore. Avevo, più semplicemente, vinto una piccola cifra – per me una enormità – giocando a tombola. Nelle gioiose serate delle festività natalizie.
Già, il Natale di un tempo. Quando vivevo attorniato dai miei e col papà, la mamma, mia sorella maggiore ed altri parenti ed amici di famiglia andavamo ospiti della signora Laura, a poche decine di metri di distanza da casa. Mi scorre davanti agli occhi, come in un film, tutto: il grande ed austero salone, i lampadari risplendenti, le tele appese alle pareti, i tappeti soffici sul pavimento. Rimbombano i numeri scanditi, con voce tonante (e nonostante questo, sempre ripetuti), commentati da un vocio sovrapposto: “77, le gambe delle vecchie…”. “Vado per uno!”. “Beata te!”. “Il 53 è uscito?“. Interventi che mi sembravano fuori luogo e mi infastidivano. Io – mi pare frequentassi la prima media – friggevo: avevo fretta che i numeri venissero estratti. Ero lì per giocare, non per passare il tempo in ciacole infruttuose.
Rivedo i volti di zia Bruna, dagli occhi luminosi, buona e cortese con tutti, dei miei cugini e coetanei, grosso modo, Gaetano e Lidia, degli amici e delle amiche dei miei, seduti intorno al lunghissimo tavolo. E mi pare di gustare i sapori fragranti dei biscotti e dei dolci della padrona di casa, anziana ma distinta, composta, elegante, con i capelli raccolti rigorosamente a cipolla sulla nuca. Ed il rosolio che offriva, in un bicchierino, e faceva assaggiare anche a noi, ai più piccoli. Durante le festività natalizie, quasi ogni sera, il rito della tombolata si ripeteva. Per la serenità dei grandi e la gioia dei ragazzi. Misi insieme con le mie vincite (prendevo sempre quattro cartelle ed una buona scorta di fagioli, sì proprio di legumi, per segnare i numeri usciti) più di trecento lire. Mi vien pensato, adesso, che gli adulti aiutassero la… Fortuna per vederci felici, con gli occhi sgranati a gridare “Tombola” e ad arraffare il piatto, al centro del tavolo, ricolmo di monetine.
Col tesoretto messo insieme una fredda mattina – la tramontana sferzante aspettava tutti, come ad un appuntamento, sull’acropoli – corsi alla libreria “Buona Stampa” per comperare (220 lire, mi pare costasse) il libro esposto in vetrina e che aveva colpito la mia fantasia. Quei Natali si festeggiavano in modo spartano. Nelle case non si soffriva certo la fame come pochi anni prima al tempo di guerra, ancora ben presente nella mente degli adulti, ma neppure si nuotava nell’oro. Un giocattolo, massimo due, le sorprese sotto l’albero. Oppure doni utili: un paio di pantaloni, un maglione (quasi sempre confezionato a mano, coi ferri, dalla mamma), un paio di calzettoni lunghi. Ai rami venivano appesi mandarini, arance, fichi secchi e datteri. Una goduria veder pendere un torrone o una pinocchiata, praticamente scomparsa, oggi.
La festa si viveva, molto più di quanto non avvenga di questi giorni, nei cuori, negli affetti, nella vicinanza, nella solidarietà delle famiglie. La messa di mezzanotte, con le donne col velo in testa, gli uomini intabarrati in lunghi cappotti col bavero alzato. Meno consumismo, più sentimenti. A ripensarci, dal profondo del cuore, risale tumultuosa, tenera, gradevole la nostalgia a scatenarti un groppo in gola. Anche noi, come i marinai del Poplador sopravvissuti e tratti in salvo in mezzo all’Oceano Pacifico, siamo naufraghi delle mille tempeste della vita. E forse, almeno per me, il libro caduto a terra rappresenta la nave Esmeralda – la soccorritrice finale del racconto di Salgari – che mi tira a bordo, mi offre momenti di intensa commozione e mi concede un tuffo, breve ma gradevole e salutare, in un Natale d’antan con le persone care. Ricordi affettuosi, dolci, come sanno ripresentarsi alla memoria certe rimembranze dell’età dell’infanzia o della gioventù. Buon Natale!
Elio Clero Bertoldi
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