NAPOLI – Osservando la realtà quotidiana, soprattutto quella più inerente alla fresca e fragile gioventù contemporanea, troppo spesso viene da chiedersi se bisogna rassegnarsi o colpevolizzarsi, se si è diventati un po’ vecchi o un po’ nostalgici di tempi andati. Le tante domande non trovano facile risposta. Diventano ancora più complesse se ci si pone in atteggiamento sbagliato di fronte alla realtà stessa. Del resto è lei, la realtà, che pone le condizioni. E noi, nonostante tutto, abbiamo il dovere morale di stare di fronte ad essa senza preconcetti, senza presunzione.
Qualche mese fa Papa Francesco si espresse in un giudizio come al solito chiaro e dettagliato sulla problematica in essere parlando di una secolarizzazione continua e costante che da tempo ha ormai trasformato lo stile di vita delle donne e degli uomini di oggi, lasciando il significato della vita stessa non determinante per la vita di ciascuno. Il Senso sembra scomparso dall’orizzonte, la sua consistenza non pare più una bussola di orientamento per la vita, per le scelte fondamentali, per le relazioni umane e sociali.
“Quando osserviamo la cultura in cui siamo immersi, i suoi linguaggi e i suoi simboli – precisava Bergoglio – occorre stare attenti a non restare prigionieri del pessimismo e del risentimento, lasciandoci andare a giudizi negativi o a inutili nostalgie”. Papa Francesco sosteneva che ci sono due sguardi possibili nei confronti del mondo in cui viviamo: uno definito “sguardo negativo”; l’altro “sguardo che discerne”. Il primo, lo sguardo negativo, nasce spesso da una visione della realtà che, sentendosi attaccata, si concepisce come una specie di corazza indossata per difendersi dal mondo. Si accusa la realtà dicendo che il mondo è cattivo, che regna il peccato, e rischia così di ingaggiare una lotta contro il mondo stesso. Si può detestare la mondanità pur avendo uno sguardo buono sul mondo. Non ha senso l’esserci per condannare, ma per far germogliare il bene proprio là dove sembrano trionfare le tenebre.
È la lotta che quotidianamente s’instaura nelle scuole dove la percezione è purtroppo sempre quella di “dare le perle ai porci” cioè di perdere tempo e, invece, non accorgersi di un bene che sottilmente avanza nonostante le opposizioni, le reazioni che vengono manifestate. Una sensazione di blocco pervade di fronte ad un contesto oppositore perché alunni e famiglie sembrano impregnati di una certa “ribellione” al sapere che si propone. L’esperienza suggerisce che andando avanti così è facile chiudersi in noi stessi: piangendo sulle nostre perdite e lamentandosi continuamente, cadremo nella tristezza e nel pessimismo. Siamo chiamati, invece, ad avere uno sguardo positivo che sa distinguere il bene e ostinatamente cercarlo, vederlo e alimentarlo. Non è uno sguardo ingenuo, ma uno sguardo che discerne la realtà.
Papa Francesco incalzava sostenendo che “la civiltà dei consumi, l’edonismo elevato a valore supremo, la volontà di potere e di dominio, discriminazioni di ogni tipo non possono portarci a cedere allo sguardo negativo dove giudichiamo in modo superficiale”, rischiamo di far passare un messaggio sbagliato, come se dietro alla critica sulla secolarizzazione ci fosse da parte nostra la nostalgia di un mondo sacralizzato, di una società di altri tempi. Invece, il problema della secolarizzazione (distrazione, frammentazione dell’io, dimenticanza, superficialità, assenza di significato) ci chiede di riflettere sui cambiamenti della società, che hanno influito sul modo in cui le persone pensano e organizzano la vita. Se ci soffermiamo su questo aspetto, ci accorgiamo che la secolarizzazione è una sfida per la nostra vita.
Così lo sguardo che discerne come sostiene il Papa, mentre ci fa vedere le difficoltà che abbiamo nel trasmettere la positività del reale, allo stesso tempo ci stimola a ritrovare una nuova passione per testimoniare il Bello, a cercare nuovi linguaggi, a cambiare alcune priorità, ad andare all’essenziale.
Innocenzo Calzone
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