MILANO – L’argomento è tra i più attuali e forse mai imperituro da trattare. Un simbolo, un’ideologia, la parità tra i sessi e di trattamento, la libertà di essere se stessi e raccontare la propria bellezza. Mentalità e realtà che si scontrano tra di loro. La mentalità è ottusa, a qualunque latitudine ci si trovi e la realtà è ancora peggio. Il femminismo inizia a prendere forma tra la fine del XIX e dell’inizio del XX secolo nel mondo anglosassone che riuscì a conquistare il suffragio femminile (riconosciuto, solo nel 1919, in America, attraverso un emendamento costituzionale che concesse a tutte le donne bianche il diritto di voto), l’istruzione, un miglioramento delle condizioni lavorative e infine l’abolizione dei doppi standard di genere. Tale attivismo fu riconosciuto come “femminismo della prima ondata”.
Il progresso scientifico e tecnologico favorì l’emancipazione delle donne. L’introduzione di contraccettivi permise alle donne di salvare la propria vita, evitando i rischi di una mortalità precoce dovuta al parto. L’altra grande rivoluzione è stata quella prodotta dall’invenzione della pillola anticoncezionale che ebbe contro i medici, la Chiesa, lo Stato e la morale comune. Il femminismo della “seconda ondata” individua un periodo di attività femminista svoltasi dagli inizi degli anni Sessanta fino al termine degli anni Ottanta, che incoraggiò le donne a comprendere quegli aspetti della loro vita personale in una maniera profondamente politicizzata, visti come riflessi di una struttura di potere volta inestricabilmente verso il sessismo. Questa seconda ondata si concentrò su altre questioni di uguaglianza culturale, per porre fine alla discriminazione. In Italia, negli stessi anni, venne confermata la legge sul divorzio (referendum del 1974), così come, per effetto del referendum del 1981, rimase in vigore la legge sull’aborto.
Le nuove attiviste femministe americane degli anni Settanta, invece, affrontarono maggiormente le questioni politiche e sessuali nella loro scrittura, tra le tante: la rivista “Ms.” di Gloria Steinem e il libro “Sexual Politics” di Kate Millett. Gloria Steinem, 87enne giornalista americana, audace e innovativa, nel 1963 pubblica sul magazine Show, un articolo destinato a procurarle, oltre a una denuncia per diffamazione, un’improvvisa notorietà. Il pezzo, intitolato “I Was a Playboy Bunny”, era un reportage che la giornalista scrisse dopo un mese di lavoro sotto falso nome presso un Playboy Club di New York. La giovane Steinem racconta della disciplina delle famose “conigliette di Playboy”, costrette a subire dai capitani dell’industria del sesso violenze fisiche e psicologiche, realtà che si materializza di fronte agli occhi della reporter. L’articolo ebbe la sua eco e fece scalpore, ma ciò che più interessa è che la Steinem incontrerà l’ala radicale del movimento femminista, e nel 1969, in occasione del primo speak out sull’aborto organizzato a New York dalle Redstockings, raccontò del suo aborto e demarcò il resto della vita.
Le donne sono dominate, incombe l’obbligo di segnalarsi come sesso, di attualizzarsi come prede. Non è un caso, d’altronde, che la prima azione pubblica del rinato movimento femminista statunitense prenda di mira, nel 1968, la cerimonia di incoronazione di Miss America ad Atlantic City, culminando nel lancio di una serie di strumenti di tortura (scarpe con i tacchi alti, corsetti, reggiseni, ciglia finte, copie di Playboy, Cosmopolitan e del Ladies Home Journal) in un bidone della spazzatura nominato, per l’occasione, “Freedom Trash Can”. Per comprendere il movimento sostenuto dalla Steinem oltre l’interessante libro autobiografico “My life on the road”, vi è il film biopic “The Glorias”, con Julianne Moore e la regia di Julie Taymor.
La storia va avanti e si palesa il femminismo della “terza ondata” che cercò di sfidare o di evitare le nozioni di “femminilità” date dall’essenzialismo della seconda ondata il quale sottolineò esclusivamente le esperienze del ceto medio, superiore bianco, a cui le donne appartenevano. Infine, Jennifer Baumgardener, identifica il femminismo della quarta ondata a partire dal 2008 per farlo continuare fino ad oggi. Kira Cochrane, autrice di “All the Rebel Women: The Rise of the Fourth Wave of Feminism”, definisce il femminismo della quarta onda come un movimento connesso alla tecnologia. La ricercatrice Diana Diamond spiega questa “quarta onda” come una combinazione che “unisce la politica, la psicologia e la spiritualità in una visione d’insieme globale del cambiamento”. Questa quarta ondata ha a sua volta ispirato o associato il “progetto Doula” di Boston per i servizi sociali rivolti ai bambini, linee di discussione post-aborto, perseguimento delle giustizia riproduttiva, supporto di modelli d’abbigliamento più forti, sostegno per le persone transgender, femminismo maschile, accettazione del lavoro sessuale e infine sviluppo dei media, tra cui le campagne femminili, razziali, tramite blog e twitter. Ancora nel 2021 siamo a rappresentare, seguire l’evoluzione del tempo e di una parità che fa fatica ad essere accettata, o semplicemente, la forza delle donne, fa paura.
Claudia Gaetani
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