Sembra ancorata al fondale del lago, è alta circa un metro e mezzo, rappresenta una figura femminile a seno nudo, inginocchiata, che con la mano destra sostiene una giara mentre la sinistra appare distesa lungo la coscia. Una ciocca di capelli le copre parte del volto. I primi esperti che ebbero modo di osservarla ipotizzarono si trattasse di una Ninfa in terracotta ma gli studi iniziati subito dopo il ritrovamento non hanno ancora portato a nulla di certo. Anzi, da quel giorno si è saputo ben poco sull’origine della statua, denominata subito “La Venere del lago di Vico”.
Il lago di Vico (dal latino Lacus Ciminus o Lacus Ciminius) è compreso nei territori dei comuni di Ronciglione e Caprarola in provincia di Viterbo, ha origine vulcanica e vanta il primato di altitudine tra i grandi laghi italiani con i suoi 507 metri sul livello del mare. È circondato dal complesso montuoso dei monti Cimini con il monte Fogliano (965 m) e il monte Venere (851 m).
Incerta è l’origine del nome, potrebbe risalire alla località di Vicus Matrini, importante centro che sorgeva sulla via Cassia a circa tre chilometri, toponimo che appare anche sulla Tabula Peutingeriana, antica mappa stradale risalente all’Impero romano, o da un piccolo Vicus sorto in età romana sui margini meridionali del bacino lacustre Vicus Elbii, che risultava scomparso già dall’età altomedievale. L’area vicana era attraversata da un’importantissima arteria stradale, alternativa alla Via Cassia romana, detta Via Ciminia, il controllo della quale portò prestigio e ricchezze dapprima alla potente famiglia dei Prefetti di Vico tra XII e inizio del XV secolo, e poi ai Farnese durante il secolo XVI.
Secondo la leggenda il lago ebbe origine dalla verga di ferro che Ercole, sfidato dagli abitanti del posto, infisse nel terreno per dimostrare la propria forza. Verga che poi nessuno riuscì a rimuovere. Ci riuscì solo Ercole il quale, estraendola dal terreno fece sgorgare un enorme getto d’acqua che riempì la valle formando così il lago.
A portare alla scoperta della statua è stata la siccità che nell’estate del 2016 ha fatto abbassare notevolmente il livello delle acque permettendo alla luce di illuminare il fondale mostrando la splendida scultura. E consentendo al fotografo Michele Bondini di riprendere un’immagine nascosta forse da migliaia di anni. Bondini è stato il primo a fotografare dalla superficie la statua, “una figura femminile di una bellezza inebriante”.
A oggi di quella Ninfa, però, non si hanno notizie certe e ufficiali, non si sa neppure se gli studi degli archeologi siano andati avanti. Lei, la cosiddetta “Venere del lago di Vico”, resta lì, solitaria, ancorata al fondale alimentando le incertezze, i miti e le leggende degli appassionati e la curiosità dei numerosi turisti che frequentano le rive dell’antico bacino lacustre.
In origine probabilmente aveva uno strato superficiale bianco, forse smaltato. C’è chi ipotizza sia legata al culto dell’acqua, comunque lontano dai canoni classici. Alcuni aspetti colpiscono in modo particolare: i capelli e la loro forma, la sinuosità delle linee, il volto, le proporzioni perfette.
C’è chi la riporta al mito greco da cui prende la sinuosità del giovane corpo e l’armonia delle forme. Tra gli esperti c’è chi dice si tratti della Ninfa Egeria, una delle Nàiadi o delle Lìmnadi. Oppure che sia proprio lei la ninfa incontrata da Ercole nel lago nell’undicesima fatica “I pomi d’oro nel giardino delle Esperidi”. D’altro canto in un affresco di Palazzo Farnese, nella vicina Caprarola, il mito di Ercole è rappresentato in quanto, così come racconta la leggenda, “con la sua clava diede origine al lago di Vico”.
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