PALERMO – “Il lavoro nobilita l’uomo”, affermava un antico detto. Ken Loach, l’ottantatreenne regista britannico vincitore di due Palme d’oro a Cannes e a Venezia di un Leone d’oro alla carriera, non la pensa così. Il regista infatti, che con la sua produzione cinematografica ha sempre denunciato il disagio delle fasce sociali più deboli, nel suo ultimo film “Sorry we missed you” mostra che oggi un certo tipo di lavoro non solo non nobilita nessuno, ma è anche economicamente rischioso e si trasforma in una lama a doppio taglio che mina la salute e l’equilibrio psicologico e familiare del lavoratore.
Il film, uscito il 2 gennaio nelle sale italiane, racconta la storia di una coppia britannica, Ricky ed Abby, dal momento in cui Ricky, che ha perduto il precedente lavoro, decide di iniziare una sorta di attività in proprio, al servizio però di una grande ditta di consegna di pacchi. Purtroppo però il nuovo lavoro a poco a poco fa precipitare Ricky e la sua famiglia in una sorta di girone infernale: sua moglie Abby, assistente domiciliare per anziani e malati, costretta a vendere l’automobile per permettere al marito di comprare il furgone per le consegne, impegnata dalla mattina a tarda sera nel suo lavoro, riesce con sempre maggiore fatica a gestire la complessa situazione familiare; i due figli adolescenti, Liza e Sebastian, reagiscono con sofferenza alla forzata assenza da casa dei genitori e al difficile clima che si respira in famiglia, creando ulteriori gravi problemi; Ricky, a sua volta, è vittima delle condizioni inumane e degli imprevisti della nuova attività.
Ken Loach, con la sua regia lucida e impietosa, svela ancora una volta come il neo-liberismo e la new economy si rivelino nella realtà dei fatti trappole mortali per i lavoratori, privati ormai di ogni elementare diritto: il diritto alle ferie, alla malattia, l’assicurazione contro furti e infortuni. C’è qualcosa da rimproverare a Loach in questo film? Qualcuno potrebbe dire un eccesso di realismo. O magari un intento troppo palesemente didascalico. Ma se tali prospettive sono incardinate in un buon film, con una recitazione impeccabile e un’eccellente sceneggiatura, sono forse da considerare difetti? Si può anzi aggiungere che “Sorry we missed you” possiede quasi la forza e la grandezza di una tragedia greca dei nostri giorni, senza averne però la retorica epica e la catarsi finale.
Ken Loach sembra quindi suggerirci, col suo cinema impegnato, quello che già scriveva Italo Calvino ne “Le città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”,
Allo spettatore quindi una speranza e un compito: che la società riesca a uscire dal miraggio nefasto dell’economicismo e della ricerca del profitto a tutti i costi, causa per milioni di persone di un’ingiusta e infelice povertà.
Maria D’Asaro
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