“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro“. L’incipit del primo articolo della Costituzione italiana marchia in maniera indelebile le fondamenta su cui poggia l’architettura istituzionale del nostro ordinamento. Il lavoro per tutti, equamente retribuito, in sicurezza e scevro da qualsiasi forma di sfruttamento costituisce quindi l’elemento fondante della nostra Patria. Ma è davvero così nell’anno 2021, con alle spalle più di 12 mesi di pandemia e con un futuro ancora incerto, sebbene si possano individuare elementi di speranza? La risposta è sul piano dei principi univoca: sì, assolutamente sì. L’Italia è di certo una Repubblica basata sulla democrazia, su organi istituzionali eletti dal popolo e ad esso rispondono del loro operato. Sul piano pratico, il lavoro è invece elemento di discordanza e di distonia. Insomma, se ne può e se ne deve discutere.
La realtà è sotto gli occhi di tutti: quasi un milione di posti di lavoro persi in questo periodaccio. Una cifra enorme e pericolosa, capace di innescare conflitti sociali difficilmente controllabili e comunque giustificabili quando nelle famiglie manca il sostentamento basilare. Molto è stato fatto per lenire i terribili disagi derivanti da siffatta situazione: blocco dei licenziamenti (ove possibile), cassa integrazione per colmare i mesi senza salario. Ma molto ancora resta da fare: ad esempio, per esperienza diretta di chi scrive, la cassa integrazione in alcuni settori è stata pagata per ora fino a dicembre. Quattro mesi sono tantissimi… E se non ci fosse il concreto supporto familiare?
Ma l’aggressione del draghetto coronato ha solo acuito una situazione che era di per sé piuttosto complicata, solo per usare un cortese eufemismo. Anni di crescita bassissima, dopo la pesantissima crisi del 2012, avevano creato profondi squilibri. Lavoro non ce n’era già prima che il coronavirus stroncasse le residue occasioni. Non ce n’era soprattutto per i giovani, spesso in possesso della laurea. Costretti a barcamenarsi tra assunzioni farlocche, collaborazioni saltuarie, retribuzioni da fame, i nostri ragazzi stanno perdendo la fiducia in tutto. Sempre ammesso che non lo abbiano già fatto. E hanno tutte le ragioni del mondo a lamentarsi e a prendersela con gli adulti, incapaci di consegnare loro un mondo se non migliore, quanto meno pari a quello che i nostri padri avevano hanno lasciato a noi figli.
Le disparità sono aumentate di pari passo con le ingiustizie. Per sbarcare il lunario e mettersi in tasca almeno qualche banconota per le proprie esigenze, i giovani (anche qualificati e preparati) accettano ogni tipo di occupazione: malpagata, senza sicurezze di alcun genere, senza ferie o riposi settimanali, senza il diritto di ammalarsi anche di una banale influenza. Tutti i giorni che per una qualunque ragione non sono lavorati, non vengono retribuiti. Sempre ammesso che il “padrone” (sia esso il piccolo imprenditore o la grande multinazionale) conservino il “posto” fino al rientro. Questa è la situazione di oggi in Italia. Dovremmo vergognarcene tutti.
Ieri, 1 maggio, è stata celebrata la Festa del Lavoro. Solite manifestazioni, consuete dichiarazioni, gli striscioni e gli slogan di sempre. Ma basta togliere un po’ di polvere per scoprire che la realtà è assai più drammatica delle parole. Interi comparti produttivi in ginocchio e con scarse possibilità di ricominciare; milioni di famiglie allo stremo perché anche i pochi risparmi accumulati con mille sacrifici se ne sono andati in fumo per tirare avanti; decine di migliaia di aziende d’ogni genere (compresa Alitalia, una volta fiore all’occhiello del made in Italy) in crisi nerissima. Con l’aggiunta delle organizzazioni malavitose in agguato per rilevare con pochi spiccioli attività in precedenza assai redditizie.
E’ vero, arriveranno gli oltre 200 miliardi di euro del cosiddetto Recovery plan (ma è un prestito e quindi sono soldi che vanno restituiti), ma siamo tutti sicuri che le idee per la ripresa siano davvero chiare e fattibili? Oppure, come spesso è accaduto nel nostro splendido e disgraziato Paese, si è ancora una volta di fronte al famoso libro dei sogni? E questa è una domanda alla quale, laicamente, nessuno è in grado di dare una risposta sincera. E allora, che si festeggino pure i lavoratori, senza dimenticare mai quelli (tanti) che il lavoro l’hanno perso, non ce l’hanno mai avuto e chissà se e quando ne avranno mai uno.
Buona domenica.
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