“Il 28 luglio compirò 69 anni ma non so se ci arrivo…”. No, l’arbitro ha fischiato, senza recupero. Franco Di Mare non ce l’ha fatta ad arrivare al suo compleanno: è affondato sotto i colpi di una tempesta non più controllabile. Mesotelioma, diagnosi senza speranza: “Ho un cancro. Oggi ci si cura e spesso si guarisce. Da questo no. Non se ne va, al massimo lo puoi rallentare, ma resta lì ed è uno dei più cattivi”. E’ stato messo al tappeto da un tumore malvagio, che non lascia scampo, svuota i polmoni, li fa diventare inutili sacchetti, come quelli che si prendono al supermercato e poi si buttano. Oltre l’80% dei casi di mesotelioma è correlato all’esposizione alle fibre disperse nell’aria dall’amianto: maggiore è l’esposizione, maggiore è il rischio.
Franco Di Mare (giornalista, scrittore, conduttore tv amato e apprezzato per l’equilibrio e per il rigore professionale) ne aveva respirate parecchie di quelle particelle di asbesto durante il periodo in cui aveva lavorato come inviato della Rai per raccontare la guerra nella ex Jugoslavia. “Sono stato a lungo nei Balcani, tra proiettili all’uranio impoverito, iper-veloci, iper-distruttivi, capaci di buttare giù un edificio. Ogni esplosione liberava nell’aria infinite particelle di amianto. Ne bastava una. Seimila volte più leggera di un capello. Magari l’ho incontrata proprio a Sarajevo, nel luglio del 1992, la mia prima missione. O all’ultima, nel 2000, chissà. Non potevo saperlo, ma avevo respirato la morte”, aveva spiegato in una lunga intervista al Corriere della Sera, pubblicata meno di un mese fa, il 28 aprile.
Dopo quella lunga parentesi in terre martoriate dal dolore, era rientrato in sede dove per diverse stagioni aveva condotto con il consueto garbo “Uno Mattina”, il contenitore televisivo di attualità dove si era distinto con uno spazio quotidiano di approfondimento Sarò Franco in cui analizzava qualche aspetto delle cronaca di quegli anni. E lui è stato franco e sincero sempre, senza nascondersi dietro compromessi che talvolta aiutano e facilitano le carriere, in tv e non solo. Era considerato l’amico che entrava in casa all’ora del primo caffé e che accompagnava i riti del risveglio prima di tuffarsi nelle incombenze quotidiane: lo faceva in punta di piedi come si conviene all’ospite che non deve approfittare troppo della benevolenza di chi gli apre le porte di casa.
Proprio all’esperienza in Bosnia-Erzegovina è legato uno degli episodi più coinvolgenti della sua vita di Franco Di Mare: l’incontro con la “piccola Stella”, all’epoca ancora in fasce, nel 1992. “Ero a Sarajevo e una bomba si è abbattuta su un orfanotrofio. Incrocio gli occhi di una bambina e ci capiamo subito”. Sono le parole di un libro in cui racconta una “fiaba” a lieto fine. Dopo quel primo incontro Di Mare, allora sposato con Alessandra, decise di salvare la bambina dalla guerra e riuscì ad adottarla grazie alla Croce Rossa: “Avevo trentacinque anni in un momento particolare della mia vita e Stella mi ha salvato. Stella mi ha fatto incontrare la Fede. Mi ha fatto dire Dio c’è”.
C’è però un’altra donna importante: si chiama Giulia Berdini ed è la compagna di Franco che l’ha sposata qualche giorno fa, poco prima di morire. “Ci fissiamo sempre col primo amore – raccontava sorridendo -. Il mio, al liceo, fu una ballerina del San Carlo. Ma il più importante è l’ultimo, che ti accompagna nei passi finali. Per me è Giulia. Stiamo insieme da otto anni. Tra noi ce ne sono più di 30 di differenza, prima si notava meno…”.
Per Rizzoli ha pubblicato Il cecchino e la bambina (2009) e il romanzo bestseller Non chiedere perché (2011), dove appunto raccontava la storia di come aveva incontrato in un orfanotrofio e si era innamorato di una bimba di 10 mesi che poi aveva adottato.
Dal libro (13 edizioni) che ha vinto numerosi premi, in seguito è stato tratto il film tv per Rai1 “L’angelo di Sarajevo” con Beppe Fiorello che all’epoca incollò su Rai1 7 milioni e mezzo di telespettatori. Fu l’attore a chiedere con un sms (lo raccontò lui stesso) a Di Mare se poteva interpretare questo ruolo.
Sempre in quella intervista non le mandò a dire ai vertici della Rai (non quelli attuali): “Quando mi sono ammalato ho chiesto di avere lo stato di servizio, con l’elenco delle missioni, per supportare la diagnosi. Ho mandato almeno 10 mail, dall’ad al capo del personale. Nessuna risposta. Mi hanno ignorato. Dovrebbero vergognarsi…”. E la guerra? “E’ la malattia del mondo. Appena scoppia, è causa immediata di dolori infiniti, disastri, morte. Ma le guerre continuano a mietere vittime anche dopo che finiscono”. Rimpianti? “No, ho avuto la fortuna di fare il lavoro che sognavo, di vivere cento vite”. Anche se non è riuscito a… “visitare l’Antartide; a imparare a suonare il piano come Stefano Bollani. E a vedere le isole Fiji. Mi piaceva fare immersioni, ora mi manca il respiro, che paradosso…”. Ma perché un giornalista rischia la vita andando nei luoghi di guerra? Lui rispose citando Hemingway: “Perché in guerra si incontra bella gente: al di là delle bombe, del rischio che corri, c’è anche solidarietà tra i colleghi e tra le persone che incontri appunto per caso”.
Buona domenica.
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