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Il giallo della morte della Beata Colomba

di | 2021-09-25T11:52:37+02:00 26-9-2021 6:15|Personaggi, Sezione 4|0 Commenti

PERUGIA – La tradizione racconta che la Beata Colomba sia morta durante una delle sue frequenti estasi al termine delle quali era solita elargire profezie, ammonimenti, consigli, persino minacce ai grandi della terra della sua epoca. Le biografie di sorella Colomba, e tra queste quella del suo confessore padre Sebastiano Angeli e del Maturanzio, descrivono il suo “transito” dalla vita terrena a quella celeste, mentre era attorniata dalle consorelle che l’accudivano e da numerosi fedeli ai quali ripeteva: “Facete festa… Faceteme bella, preparateme spetiosa nel cospetto de esso pulcherrimo sposo…”.

Tuttavia, quando il 28 aprile 1785 una commissione di sacerdoti e di medici, su richiesta della Priora del convento di Porta Sant’Angelo furono chiamati ad effettuare la ricognizione delle reliquie, trovarono che “all’esterno (sul cranio, nda) apparve una notabile lesione, cagionata, per quanto pareva, da esterna percossa”. I risultati dell’accertamento peritale sono stati recuperati, ormai da qualche decennio, dallo studioso, ed all’epoca funzionario del “Fondo Manoscritti” della biblioteca centrale dell’università di Perugia, dottor Gianfranco Cialini, che compilò un articolo con prefazione del docente universitario medievista padre Ugolino, all’anagrafe Vincenzo Nicolini. Sono state così riportate alla luce, e fotografate, una lettera della Priora con il verbale, vergato a mano niente di meno che da Annibale Mariotti (1738-1801), medico ed intellettuale (giacobino), cui è stato intitolato il liceo classico del capoluogo umbro.

Mariotti, che ricopriva il ruolo di medico del convento, riferisce i nomi di tutti i presenti: il vescovo Odoardi, l’arciprete monsignor Rossetti, il canonico penitenziere Leone Micheli, il teologo padre Minelli, l’esaminatore sinodale dottor Briganti, il cancelliere vescovile Giuseppe Silvestrini, il chirurgo Benedetto Messini. Le lesione esterna “da percossa” rilevata dalla commissione nel corso del sopralluogo stride terribilmente con i racconti agiografici della morte della Beata. Ma il “giallo” rischia di rimanere irrisolto per sempre. Nessuno si prenderà la briga di esaminare scientificamente, con l’aiuto delle moderne tecnologie, i pochi resti rimasti (alcune reliquie erano state inviate, su richiesta avanzata prima della ricognizione, al duca di Parma, Ferdinando di Borbone, tanto era ancora famosa la mistica a quasi trecento anni dal trapasso) nella cappella dedicata a Colomba all’interno chiesa del convento delle domenicane di Porta Sant’Angelo.

La Beata – tale venne proclamata nel 1625 da papa Urbano VIII, al secolo Maffeo Vincenzo Barberini, che anche dopo l’elezione al soglio pontificio continuava a far stampare le sue poesie a Perugia, dove era membro dell’“Accademia degli Insensati” – era nata a Rieti col nome di Angelella Colomba Guadagnoli. Durante il battesimo narrano che una colomba avesse svolazzato intorno al fonte battesimale e il nome di Colomba finì per prevalere. Gli agiografi assicurano che fin da piccina fosse sempre assorta in preghiera e dedita al digiuno. E quando la famiglia, a 12 anni, la promise in sposa, lei si ribellò, perché intendeva dedicare la sua esistenza solamente a Dio. A 19 anni divenne, infatti, terziaria domenicana: la cerimonia pubblica si svolse la domenica delle Palme del 1486. Due anni più tardi la giovane serva di Dio partì dalla città natale con l’idea di raggiungere Siena, patria di Santa Caterina, altra grande mistica. Dopo aver superato Spoleto e Foligno, Colomba arrivò a Ponte San Giovanni, ai piedi di Perugia. Alcuni giovinastri, davanti ad una osteria, quando videro questa ragazza da tutti descritta come molto bella, iniziarono ad infastidirla. Lei aprì una striscia di stoffa in cui conservata l’unico alimento di cui si cibava: le giuggiole e le offrì ai malintenzionati. Improvvisamente i bravacci persero la memoria ed ogni segno di aggressività, consentendo a Colomba di proseguire il cammino e di entrare, dopo la lunga salita di San Girolamo, in città.

Le autorità, l’aristocrazia, il popolo l’accolsero con grande entusiasmo. Tanto che venne addirittura costruito un convento, nella zona dell’attuale corso Cavour, vicino alla basilica di San Domenico, per ospitare lei e le consorelle, alle quali si era aggiunta anche la madre di lei, Vanna. Tra coloro che la omaggiarono – può sembrare strano – anche un giovane studente, poi diventato famoso per la sua crudeltà e ferocia, Cesare Borgia, detto il Valentino. In poco tempo Colomba “conquistò” l’intera città. Come risulta dagli Annali Decemvirali e dagli scritti di molti autori. La monaca tentò – in una società in cui il sopruso e la sopraffazione, i ferimenti e gli eccidi risultavano frequentissimi – di svolgere la funzione di paciere. Talvolta ci riuscì, talaltra no (come nella guerra spietata degli Oddi e dei Baglioni). Eppure tutte le fazioni in lotta continuavano a chiederle consigli e giudizi, come lo stesso pontefice Alessandro VI, Rodrigo Borgia, in visita in città; ma anche i cripto signori di Perugia: i Baglioni. Le donne di questi ultimi, a cominciare da Atalanta, ma anche dalle vedove Ippolita, Lucrezia, Camilla, erano sue devote mecenati e un’altra Baglioni, Ippolita, divenuta Signora di Viterbo, dopo la morte del marito Giovanni Gatto, governò i suoi possedimenti laziali sempre seguendo le “direttive” della Beata.

Terribili le profezie di Colomba nei confronti dei Baglioni, che pure erano suoi benefattori (Troilo aveva sponsorizzato la costruzione pubblica del convento femminile e regalato una cospicua donazione). La Beata si spense a soli 34 anni, meno di un anno dopo le “nozze di sangue” (la terrificante strage familiare interna al casato baglionesco). I solenni funerali vennero svolti a spese del Comune con tanto di interminabile corteo dal monastero del borgo Bello fino a porta Sant’Angelo, seguito dalle autorità di governo, Priori in testa, dai nobili e da una folla immensa di popolani, ai quali Colomba dedicava particolari attenzioni morali, religiose ed anche materiali. Ma il mistero della morte resta. E sarebbe illuminante scoprire chi e perché le inferse la percossa mortale al cranio.

Elio Clero Bertoldi

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