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Bukowski, genio poetico e ribelle

di | 2021-08-22T06:39:25+02:00 22-8-2021 6:30|Cultura, Sezione 7|0 Commenti

MILANO – Bizzarro, estroverso, eclettico, poeta e scrittore. Amato ed odiato per il suo stile di vita e il suo genere letterario nudo e crudo, senza ipocrisie. E’ la figura complessa dell’autore americano Charles Bukowski, nato in Germania nell’agosto del 1920, da padre americano e madre tedesca. Vissero i primi anni in Europa, dato che il padre combatté la prima guerra mondiale, per trasferirsi in America, dapprima Baltimora, nel 1923, e poi definitivamente a Los Angels, nel 1930. Fin da giovanissimo, fu costretto dagli atteggiamenti violenti del padre, ad un’eccessiva ritrosia verso il mondo esterno, tanto essere definito un timido, anche per una tremenda forma di acne iuvenilis che gli deturpò il viso; finché, all’età di 13 anni, iniziò un rapporto morboso con l’alcol e ad avere le prime esperienze sessuali (descritte in maniera realistica e senza troppi eufemismi) attraverso rapporti piuttosto turbolenti con le persone. Nel romanzo “Women” racconta l’inizio del suo amore a vita con l’alcol. Frasi lapidarie e inconfutabili, che raccontano il suo vizio: “Se succede qualcosa di brutto / si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello / si beve per festeggiare; se non succede niente / si beve per far succedere qualcosa”.

Subito dopo il diploma, frequentò l’Università di Los Angels, per due anni, studiando arte, giornalismo e letteratura.  “La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere – scriveva –  sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità”, quasi a suggerire che scrivere è qualcosa di spontaneo e istintivo, ancestrale e archetipo, che ti appartiene o piuttosto non fa per te. Emblematico il suo motto “Don’t try” (non provare), frase che l’accompagnò in molti scritti e che fu incisa sulla sua lapide che recita: “Henry Charles Bukowski – Hank – Don’t Try – 1920-1994”, con la raffigurazione di un pugile, proprio a rappresentare la sfida di riuscire nella vita o non cimentarsi per niente in un’impresa).

A 24 anni (1944), pubblicò il suo primo racconto “Aftermath of a Lengthy Rejection Slip” sulla rivista Story. Due anni dopo, un altro racconto, “20 Tanks From Kasseldown,” uscì su una raccolta di Portfolio III. Non riuscendo però a sfondare nel mondo letterario, Bukowski si rassegnò e smise di scrivere per un decennio, un periodo che lui ha chiamato “una sbronza di dieci anni”. Questi “anni buttati” formarono però le basi di tutto quello che scrisse in seguito, che è largamente autobiografico, sebbene la verità dei suoi resoconti sia stata frequentemente messa in discussione (lui stesso ammette di mescolare realtà e immaginazione). Nel 1955, dopo aver bevuto molto con la compagna Jane, fu ricoverato in ospedale per un’ulcera perforante, che gli fu quasi fatale. Si salvò grazie alle trasfusioni di sangue, donato dal padre. Quando lasciò l’ospedale, cominciò a scrivere poesie.

Nel 1962 fu traumatizzato dalla morte di Jane Cooney Baker, il suo primo vero amore. Bukowski sfogò il suo lutto e la sua devastazione in una potente serie di poesie e racconti che piangevano la sua morte. Nel 1969 accettò un’offerta dalla casa editrice Black Sparrow: 100 dollari al mese per tutta la vita. A quarantanove anni decise perciò di lasciare il lavoro come impiegato delle poste, per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. “Avevo solo due alternative: restare all’ufficio postale e impazzire… o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame”. Meno di un mese dopo finì il suo primo romanzo autobiografico, “Post Office”, che lo rese celebre. Grazie alla fama crescente cominciò a imbarcarsi in una serie di storie di una notte e di relazioni, che gli fornirono materiale per i suoi racconti e le poesie.

Ha scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri. Non più tardi degli anni ’60, Charles Bukowski fu associato al movimento della “beat generation” (giovani che rifiutavano norme imposte, innovazioni nello stile, sperimentazione delle droghe, interesse per le religioni orientali, rifiuto del materialismo, fino a rappresentare in maniera esplicita e cruda della condizione umana), ma egli rifiutò questa etichetta, non identificandosi mai come un “beat”. Invece, la corrente letteraria a cui spesso viene associato è quella del realismo sporco (dirty realism, movimento letterario sorto in America negli ’70-’80 che pretende di ricondurre la narrazione – specialmente il racconto breve – alla sobrietà, alla precisione e alla stringatezza estrema nell’uso delle parole per le descrizioni: gli oggetti, i personaggi, le situazioni sono tratteggiati nel modo più conciso e superficiale possibile). Nel 1988 si ammala di tubercolosi, ma continua a scrivere e pubblicare libri fino a quando, il 9 marzo 1994, all’età di 73 anni, muore stroncato da una leucemia fulminante, a San Pedro, poco dopo aver completato il suo ultimo romanzo, “Pulp”. I funerali furono officiati da monaci buddisti, disciplina spirituale alla quale si era avvicinato negli ultimi anni.

La scrittura di Charles Bukowski è definita dai critici letterari “pittorica, intensa, fatta di pennellate forti e penetranti in cui il sublime e gli escrementi sono alla minima distanza”. È l’esito irrisolto delle sue visioni e dei suoi incubi; l’effetto finale sul lettore è quello di una forte accentuazione delle capacità della coscienza: “Scrivere poesie non è difficile. Difficile è viverle”. Bukowski, personificazione del genio e sregolatezza, era un maniaco del gioco d’azzardo, in particolare le corse dei cavalli, ma a parte il gusto della vittoria, anche perché attratto dalle statistiche. Lo scrittore ha vissuto gran parte della sua vita in condizioni economiche alquanto precarie, tanto che vendette la sua macchina da scrivere per pagarsi le immancabili bevute e fu costretto per un lungo periodo a scrivere a mano. Una sua peculiarità era quella di alternare ai racconti anche dei disegni, alcuni dei quali venivano appesi in bagno, talvolta anche sul rotolo della carta igienica. Bukowski amava scrivere tra le dieci e le due di notte, due o tre volte a settimana. La macchina da scrivere, i fogli, birra o vino, sottofondo di musica classica e la magia si compiva.

Charles Bukowski ha amato molto: le donne, l’alcol, i libri e la scrittura, il gioco d’azzardo e i gatti. Maestose e bellissime, le “piccole tigri” lo hanno sempre affascinato tanto da condividerne l’esistenza, lasciando che camminassero sui tasti della macchina da scrivere e che fossero testimoni compiaciuti delle sue sbronze e delle sue scorribande. Lo scrittore descrive i felini come fieri combattenti, cacciatori spietati, maestri nell’arte della sopravvivenza, animali che sanno come dare e pretendere rispetto, senza mai tradire la loro vera natura, indipendente, ribelle e un po’ cinica, proprio come la sua. Bukowski ammira la loro capacità di scrollarsi di dosso le preoccupazioni, la dignità che emanano nell’attraversare la vita, nonché la semplicità, priva di esitazioni e rimorsi con cui riescono a vivere. Mici che “corrono sui fogli dattiloscritti sparsi/ lasciandoli spiegazzati e con piccoli buchi sulla / carta./ Poi/ saltano dentro allo scatolone delle lettere che ricevo dalla/ gente/ ma non rispondono, gli ho insegnato/ bene” (da “Una poesia genuina per te”).

Claudia Gaetani

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