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G7 nella terra di mare, sole e vento…

di | 2024-06-23T09:32:59+02:00 23-6-2024 5:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

SAVELLETRI DI FASANO (Brindisi) – Come ogni estate la Puglia ritorna sulle prime pagine dei giornali con le sue bellezze, le sue tradizioni, i suoi ulivi millenari espressione della cultura mediterranea. L’occasione per l’ultimo interesse stagionale è dovuta al fatto che il G7 si sia tenuto a Borgo Egnazia (in provincia di Brindisi) con la partecipazione delle potenze mondiali più industrializzate, di una serie di Stati invitati e anche del Papa; del resto non è una novità storica che “papato ed impero” si incontrino per cercare soluzioni ai destini planetari, non è la prima volta che vengano redatti dei documenti programmatici finali, come non è la prima volta che alcuni dei “grandi “si guardino in cagnesco per scaramucce che più che tutelare i diritti di tanti, finiscono col sembrare ammiccamenti ai propri elettorati nazionali. La Storia o, più banalmente, l’evolversi degli eventi dimostreranno se alle tante belle parole sulla pace e sulla centralità dell’uomo (“Ci impegniamo a garantire che tutti gli individui abbiano gli stessi diritti alla piena ed effettiva partecipazione alla vita sociale, culturale, educativa, economica, civile e politica”) farà seguito una buona politica.

Lo splendido resort di Borgo Egnazia

Quello che, argomento innegabilmente di secondo piano rispetto alle tematiche trattate, lascia alquanto perplessi è il luogo scelto, dal momento che Borgo Egnazia non è una cittadina reale, ma un resort extralusso per miliardari che riproduce un borgo pugliese, in cui “forme, colori e materiali sono storia e memoria della terra di Puglia”, come si legge sul sito della location. Più opportunamente, forse, la memoria della regione andrebbe cercata nel vicino sito archeologico di Egnathia, la cui storia è purtroppo simile a quella di tanti altri presenti sul territorio pugliese (Ruvo o Canosa solo per citarne alcuni). Più che campagne di scavi per questi luoghi si può infatti parlare di operazioni di saccheggio e vendita clandestina dei reperti. In particolare, per Egnathia i primi depredamenti furono compiuti da ufficiali francesi di stanza in quei luoghi agli inizi dell’Ottocento, cui fece seguito negli anni seguenti la devastazione sistematica, ad opera anche di locali, di centinaia di tombe per fare incetta di vasi, bronzi, oggetti d’oro, monete, statuette di terracotta da vendere nel mercato clandestino.

La vicenda suscitò il biasimo di illustri archeologi tanto che furono ordinate delle ispezioni dalla lontana Napoli e che alla fine certificarono che non fosse il caso di scavare a Egnazia per la “scarsa consistenza dei monumenti da indagare”. Bisogna aspettare il 1912 per vedere partire i primi scavi metodici che portarono solo nel 1978 alla costruzione dell’attuale museo archeologico. Pleonastico aggiungere che i lavori sono ancora in corso, anche per la schedatura di tutte le strutture superstiti dell’antico porto, realizzato probabilmente da Agrippa per dotare di uno scalo sicuro un tratto di costa esposta a venti forti e frequenti mareggiate, come testimoniato dalla stessa definizione che di Egnathia diede il poeta Orazio (“iratis lymphis extructa”, costruita su acque procellose).

Il sito archeologico di Egnathia

La storia dell’antica Gnathia, citando solo i momenti più salienti, si sviluppa nell’arco di molti secoli. Il primo insediamento è databile già nell’età del bronzo (XV sec. a. C.) per giungere nell’VIII alla fase messapica che cessò con l’occupazione romana a partire dal III secolo a.C. Il centro fu saccheggiato e quasi interamente distrutto dai Goti del re Totila nel corso della guerra greco-gotica (intorno al 545 d.C.). Ne seguì l’abbandono progressivo da parte degli abitanti verso le zone dell’interno, considerate più sicure dalle incursioni dei Saraceni. Un passato ricco per tanti territori dell’Apulia ed un “disastroso” presente, che si corrobora, tuttavia, di piccoli successi.

È cronaca degli ultimi giorni la firma dell’accordo tra i Ministeri della Cultura italiano e tedesco per la restituzione all’Italia di un prezioso corredo funerario di provenienza apula, composto da 14 vasi e dieci piatti decorati, oltre a un frammento di affresco proveniente da una villa di Boscoreale. Il materiale era stato trafugato da un trafficante d’arte e poi rivenduto all’Altes Museum di Berlino per 3 milioni di marchi nel 1984. L’operazione per il recupero delle opere d’arte è il risultato delle indagini dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, coordinati dalle procure di Roma e Foggia. Riconoscere il valore e la bellezza di ogni territorio dovrebbe in definitiva passare soprattutto dal potenziamento degli organici e dall’incremento dei finanziamenti a favore delle istituzioni museali, archeologiche, militari, civili che vi operano e dal dovuto riconoscimento a coloro che dedicano la propria attività, come il drago dai cento occhi raffigurato nello stemma dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, alla tutela e ricostruzione vigile, preparata e reale del passato. Per un futuro migliore, sempre e per tutti.

Adele Reale

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