PERUGIA – Il cuore – in questo caso, più propriamente, nel rispetto della lingua della sua terra, “el corazon” – di Diego Armando Maradona (1960-2020) è stato estratto dal corpo, conservato e custodito in cassaforte. Come le reliquie di un santo. Notizia confermata dal Dipartimento di Anatomia patologica della Soprintendenza Scientifica della Polizia di Buenos Aires e, in Italia, dalla pubblicazione su “Il Foglio”. L’organo, nella sua completezza, venne prelevato nel corso dell’autopsia – ordinata dalla magistratura per verificare le cause della morte del campione – insieme a piccole porzioni di fegato e di rene. Subito dopo gli accertamenti medico-legali è stato immerso nella formaldeide, dove resterà per altri nove anni. Gli anatomo-patologi, che lo hanno pure posto sulla bilancia, hanno quantificato il suo peso: 503 grammi, quasi il doppio – assicurano gli esperti – di un cuore “normale”.
É filtrata pure la notizia, che era rimasta segreta, che un gruppo di tifosi del club “Gimnasa Esgrima La Plata” (fondato nel 1887 e dunque il più antico di Argentina), l’ultimo, in ordine cronologico, allenato da “El Pibe de Oro”, aveva preparato un piano per impossessarsi, per rubare insomma, il prezioso “reperto” e custodirlo nella propria sede privata. Per questo motivo il cuore di Diego – nato in un barrio della periferia di Buones Aires, considerato fra i tre luoghi più violenti dell’intera America – è stato collocato all’interno di una camera blindata in una struttura della polizia, in maniera da garantire la massima sicurezza. Già nell’antichità e poi nel Medio Evo gli organi, non solo vitali, di santi e grandi personalità venivano recuperati, salvati e esposti come reliquie. Addirittura, tra i sistemi per recuperare i “resti”, era prevista la bollitura del corpo per ottenere, in modo più facile, le varie parti del corpo e le ossa.
A proposito di “mano de Dios” Maradona e del suo cimelio profano, è appena uscito un libro – tra i tanti pubblicati in tutto il mondo – opera di un giornalista perugino, Enzo Beretta, presentato nei giorni scorsi al teatro Morlacchi. Si intitola “Il re degli ultimi – I sette anni meravigliosi e folli di Maradona a Napoli”. Un ritratto in 3D. A tutto tondo, insomma. E anche un modo originale per descrivere il grande calciatore, legatissimo alla città partenopea ed alla sua gente. Ha scritto Fabrizio Roncone nella prefazione: “Questo è un libro strepitoso. Assolutamente strepitoso. Ed io sono prigioniero di una martellante ed euforica confusione scatenata da un conturbante misticismo (Maradona è senza dubbio il Dio del calcio che si è fatto uomo ed è venuto a giocare per noi, tra noi) e da un purissimo divertimento (Santo Cielo quanto calcio c’è, in queste pagine)”. Se lo afferma Roncone, firma di prestigio del maggior quotidiano italano, già cronista del Napoli ai tempi del secondo scudetto, non si può non credergli.
A scorrere le pagine, in effetti, viene fuori di tutto. E di più. Dal giorno della sua presentazione al pubblico del San Paolo (allora: oggi porta il suo cognome), il 5 luglio 1984, un giovedì pomeriggio, per buona ricordanza, con ben 80mila spettatori festanti ad osannarlo, fino al suo addio. Tra queste due date decine e decine di aneddoti che restituiscono al lettore un fuoriclasse che ha incantato non solo i napoletani, ma il mondo intero. In questa biografia “sui generis” – non cronologica, ma per temi, per argomenti – Beretta conduce il lettore per mano a Soccavo, il campo di allenamento degli azzurri, nei vicoli vocianti della città, dietro le quinte del calcio (il pre-contratto firmato sul cofano della Jaguar), tra le curiosità (come è nato il motivetto “Maradona è meglio di Pelé”), in mezzo al merchandaising sulla sua figura, fra la cabala e le scommesse al gioco del Lotto (il campione veniva abbinato al numero 43, cioé la somma tra il 42, il giocatore di calcio e l’1, che per la smorfia rappresenta Dio), davanti alle sue foto appese, da tanti napoletani, sopra la testata del letto al posto dell’immagine della Madonna, tra gli hobby del Pibe (sorpreso a dilettarsi come elettricista e quale antennista), di fronte al suo “cuore”, alla sua sensibilità che lo portavano nei reparti in oncologia pediatrica degli ospedali e degli orfanotrofi, in mezzo ai camion carichi di cibarie che faceva arrivare, a sue spese, nei quartieri poveri.
Ecco, poi, il Maradona ecologista (che lancia la campagna per “Napoli pulita”: “Senza i cumuli di spazzatura Napoli potrebbe essere la città più bella del modo”), ma anche l’altra faccia, quella di un uomo fragile e contraddittorio, che girava nei locali notturni, sino a notte fonda, tra fumo, champagne e belle donne, che sniffava cocaina, che teneva contatti con esponenti della camorra. La parte luminosa e la parte oscura, dunque. Fuori dai denti: un libro da divorare. A non sfogliarlo varrebbe – da dedicare ai lettori mancati – lo striscione che i tifosi partenopei esposero di fronte al cimitero di Fuorigrotta: “E non sanno che se so’ perso”.
Elio Clero Bertoldi
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