RIETI – Dallo scorso mese di marzo non abbiamo mai smesso di preoccuparci del possibile riaffacciarsi del pericolo covid-19, ed ecco che a distanza di circa 6 mesi siamo di nuovo in una situazione di possibile/probabile nuovo lockdown che però, questa volta, ci trova decisamente più spaventati e sfiduciati perché di tutti gli stravolgimenti positivi e sperati, oggi c’è solo la certezza che non si verificheranno. La pandemia non ha prodotto alcuna rivoluzione positiva nelle nostre vite, anzi: a ben vedere, le maggiori vittime di questa disillusione sono i giovani, soprattutto la generazione dei ventenni e dei trentenni già schiacciata dalla precarietà e dall’imperativo della produttività, e che, dopo questa pandemia, si ritroverà in condizioni ancora peggiori.
Secondo il report dell’Oecd “Youth and COVID-19: Response, Recovery and Resilience”, basato su sondaggi condotti tra 90 associazioni in 48 Paesi, la pandemia avrà conseguenze sull’educazione, sulla ricerca del lavoro, sulla salute mentale e sulla liquidità dei più giovani, sia a breve che a lungo termine. Come fa notare l’osservatorio, le nuove generazioni partono da una situazione già svantaggiata: non solo sono le meno occupate, ma anche quelle con i redditi più bassi. Nel nostro Paese, ad esempio, sono i nati dopo il 1986 ad avere il reddito pro capite più basso (meno di 30mila euro l’anno), qualificandosi addirittura come la generazione più povera della storia d’Italia: il loro stipendio è inferiore dell’11% rispetto alla media nazionale. Questa situazione non può che peggiorare dopo la pandemia, per quella che si prospetta come una delle crisi economiche peggiori di sempre.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un giovane su sei aveva perso il proprio impiego già durante il lockdown. Circa il 77% dei lavoratori con meno di 25 anni è impiegato nella cosiddetta “economia informale”, che oltre a essere duramente colpita dal blocco delle attività di marzo, è prevedibile che sarà anche quella maggiormente sacrificata in una fase successiva. Oltre a essere i meno tutelati e retribuiti, i giovani sono anche i più insoddisfatti della propria occupazione. A questa insoddisfazione si sono aggiunti anche gli alti livelli di stress vissuti durante la pandemia tra i giovani adulti tra i 18 e i 29 anni. Già ad aprile Eurofond notava come a essere esposti a un maggior rischio di depressione post-Covid fossero le persone con meno di 35 anni: a spaventare è soprattutto il futuro, non solo lavorativo. Il rapporto dell’Oecd ha rilevato come una delle preoccupazioni maggiori dei giovani durante la pandemia sia l’aumento del debito pubblico, nella consapevolezza che eventuali misure di austerity colpiranno soprattutto le nuove generazioni. Tra le maggiori cause di disagio, si legge nel Rapporto, c’è anche la sospensione o l’interruzione degli studi per gli universitari. Si stima infatti che nonostante l’attivazione dei programmi di didattica a distanza circa la metà degli studenti non sia riuscita a proseguire le lezioni.
Secondo il ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi, le iscrizioni per il prossimo anno accademico potrebbero ridursi fino al 20%, mentre le stime dell’Osservatorio Talents Venture attestano il calo all’11%. Si tratterebbe di 35mila studenti in meno, con una perdita di 46 milioni di euro di rette per le università pubbliche. Scoraggiati dalla situazione di incertezza o impossibilitati a sostenere le spese (specialmente i fuori sede, che dovranno fare i conti con gli affitti invariati, se non aumentati, nelle grandi città), molti giovani non cominceranno o interromperanno gli studi, andando ad aggravare il già preoccupante quadro dell’istruzione superiore.
Si annuncia, quindi, una situazione di incertezza del futuro, insostenibile dal punto di vista economico, lavorativo ed umano. Un’incertezza che condizionerà i nostri progetti di vita e le nostre aspirazioni. La nostra generazione ha imparato a convivere con la crisi, subendone gli effetti sia in prima persona che attraverso l’esperienza delle proprie famiglie, ma lo scenario che abbiamo di fronte è del tutto inedito. La pandemia ha dimostrato pienamente la fragilità del nostro sistema. È impossibile dire in anticipo se questa presa di coscienza collettiva, in cui si è capito che la tenuta dei mercati non può essere la sola realtà a cui attenersi, avrà effetti sul modo in cui le nuove generazioni affronteranno i prossimi mesi, se non anni. Non si può più accettare l’idea che non ci sia alternativa al fatto che le nuove generazioni paghino il prezzo più caro di ogni crisi economica. Quello che si auspica come necessario è la redistribuzione della ricchezza, introduzione di redditi di base, riforma della tassazione, sostituzione del Pil come indicatore di ricchezza in favore di un altro parametro che misuri la sostenibilità e il benessere di una nazione.
Non possiamo pensare di realizzare il cambiamento se tutto resterà come prima.
Stefania Saccone
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