PERUGIA -“Patriota”: così si presentava. Fin dal’inizio quando, il 20 settembre 1943, si diede alla macchia unendosi ai “Banditen”, come le SS chiamavano i partigiani. Dieci mesi di vita sugli Appennini tra l’Umbria e le Marche e sulle loro propaggini per combattere nazisti e fascisti, mettendo a rischio non solo la propria pelle, ma anche quella dei propri familiari. Dieci mesi che, da soli, rendono una vita degna di essere vissuta.
Luciano Formica (1924-1987), di Spello, comandante “Sandro” (in alcune fasi ebbe anche la responsabilità di 150 uomini), insieme al moschetto e alla pistola, aveva avuto anche modo di tenere aggiornato, in quei giorni terribili di speranze e di sangue, di sogni e di orrori, un diario della sua militanza, rimasto per decine di anni in fondo ad un cassetto ed ora offerto alla lettura ed al ricordo di tutti da una meritoria iniziativa del giornalista Tiziano Bertini, che ha curato l’opera e che conobbe e fu amico dell’autore (morto nel 1987). Con la interessante, esauriente postfazione di Fabio Bettoni, che inquadra tempi e contesto, ed i tipi de “Il Formichiere”, è stato dato alle stampe il libro “Il 20 settembre presi la via della montagna… Diario della guerra partigiana del comandante Sandro”.
Bertini ha proposto le 94 cartelle dattiloscritte dallo stesso Formica, lasciando – per non far perdere genuinità e freschezza allo scritto, redatto giorno dopo giorno a matita ed arricchito, persino, da disegni e schizzi – anche gli errori ortografici e sintattici dell’originale. Il taglio della narrazione – quasi un resoconto giornalistico – si rivela godibile ed efficace. Il Formica mostra, pagina dopo pagina, un modo di essere spontaneo, sincero, lontano le mille miglia da tentazioni retoriche. Dopo la guerra e l’esperienza partigiana (partecipò con il gruppo di combattimento “Cremona” pure alle ultime fasi del conflitto), Luciano, che si era diplomato all’Istituto tecnico industriale di Foligno e che poi si laureò in matematica all’università di Pisa, fu pure insegnante nelle scuole superiori ed ebbe, in aggiunta, esperienze di scrittore per testi teatrali e cinematografici, oltre che prestare la sua opera alla Regione Umbria.
Quando si diede alla macchia, Luciano fu aggregato al distaccamento Matteotti, di cui divenne comandante, nel quadro del Battaglione “Angelo Morlupo”, a sua volta facente parte della “IV Brigata Garibaldi” di Foligno. “Fui fascista – confessa fin dalla prima riga – come la quasi totalità dei giovani lo fu, nel tempo ’Mussoliniano’…”. Di più: a 16 anni partì volontario nei battaglioni della “Gioventù italiana del littorio”. Tornò a Spello, dopo sei mesi e riprese gli studi. Ma già prima della seduta del Gran Consiglio e, successivamente, dell’Armistizio, Formica era arrivato “obbiettivamente” (questo il termine utilizzato) a formulare un giudizio profondamente negativo del fascismo. Per cui quel fatidico 20 settembre, armato di un moschetto residuato della Grande Guerra, che il padre custodiva come un cimelio, prese, ben convinto della scelta, la via dei monti.
Chi avrà modo di leggere il testo potrà ripercorrere le azioni, i successi, i fallimenti (con la morte dolorosa di amici e compagni di lotta), i raid (anche quello fallito nella villa del prefetto della provincia Armando Rocchi), i giorni e le notti di inattività, carichi di forti preoccupazioni e di cupi pensieri. Dieci mesi sembrano pochi (al Nord, la Resistenza si protrasse per un tempo doppio), ma i protagonisti che li hanno vissuti e attraversati, ed in un periodo tempestoso e carico di rancori e di odî tra compatrioti, hanno avuto l’impressione che non finissero mai. Tra i tanti aneddoti, singolare e toccante la storia di Gerard, militare tedesco, che abbandonata la Wehrmacht passò ai partigiani e prese le armi contro i suoi ex commilitoni. La motivazione? “Hitler nicht gud!”, spiegò: “Hitler niente bene”. Sessanta giorni durò la sua guerra personale al nazifascismo: durante un rastrellamento, nel territorio di Valtopina, venne catturato e spinto al muro: plotone di esecuzione immediato.
Emerge, al di là della vicenda di un gruppo partigiano e del rapporto solidaristici con le popolazioni dei paesi e della montagna, anche lo spaccato dei componenti di una famiglia normale, i Formica, appunto, che affrontarono con coraggio e rischi rilevanti, la lotta di liberazione: il padre Settimio (pur avanti con gli anni) umiliato, pestato ed arrestato dai fascisti; Luciano ed il fratello Marcello impegnati, in formazioni diverse sia pure attive nelle stesse zone, nelle operazioni di guerriglia; la sorella, Giorgina, anche lei staffetta partigiana, trascinata in carcere e, persino, seviziata. In pratica solo la madre, gravemente ammalata, non partecipò alla rivolta contro gli invasori, perché lungodegente dell’ospedale di Perugia, allora a Monteluce, dall’Armistizio fino a dopo l’avvenuta liberazione dei territori umbri da parte degli alleati.
L’ultima azione del Formica, con la “Banda autentica del Subasio” – così amava definirla – a Bevagna, il 15 giugno 1944. Quel giorno “Sandro”, ripone gli abiti del patriota e riprende quelli di un ventunenne che, sopra un calesse, si dirige verso casa. “Guardai in alto verso Spello e mi parve che Spello stesso scendesse ad incontrarmi… Passai l’Arco e fui di nuovo, come sapevo di essere stato solo da bimbo, ai piedi della prima salita. In alto era la mia casa. In alto, più in alto, i miei sogni”.
Elio Clero Bertoldi
l’uomo
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