BENEVENTO – “La gente nello stadio non va mai via, rimangono i loro cori e i loro rumori. Rimane la loro passione, il loro amore. Se guardate bene, ci sono sempre…”. Quasi commovente l’atteggiamento di Oreste Vigorito, presidente del Benevento, appena promosso in serie A con 7 giornate di anticipo. Legatissimo al fratello Ciro (non c’è intervista in cui non lo cita), unito fortissimamente a Pippo Inzaghi (allenatore) e Pasquale Foggia (direttore sportivo). Non c’è che dire: è stato creato un gruppo vincente basato sull’unità di intenti. Certo è facile parlare di intenti comuni. Chi non vorrebbe la promozione, le vittorie, i successi, il pubblico dalla propria parte? Tutto questo è stato possibile con buoni investimenti ma anche con la competenza di chi è riuscito a suggerire acquisti, giocatori forti, con chi è stato capace di creare una squadra equilibrata. Non basta certo comprare 11 Messi o 11 Cristiano Ronaldo: una squadra non si fa cosi. Lo spogliatoio, importantissimo in questi ambiti, ha un valore immenso. Bisogna per forza essere capace di mantenere gli equilibri, far giocare chi merita, organizzare i tempi, i ritmi, gestire le invidie, le prepotenze. Insomma raggiungere certi obiettivi non è cosa da poco. Tutto questo è stato così evidente nel corso dell’anno; pochissimi intoppi, l’unico serio a Pescara, un sonoro 4 a 0 riportò tutto l’ambiente Benevento calcio con i piedi per terra. Vuoi vincere? Devi lavorare duro.
E poi il presidente, uomo che ha “rinunciato ai ragù” per essere sempre vicino alla squadra. Un caparbio, leale, onesto, innamorato del calcio e del Benevento. “Ho la società dell’Atalanta come modello da imitare, una città, quella di Bergamo, simile a Benevento (certo con più risorse economiche) ma con lo stesso desiderio e amore che c’è qui nel Sannio”.
Emozionatissimo, a fine gara con la Juve Stabia che ha sancito la promozione matematica, con toni quasi poetici così si è espresso: “La gente c’era, quando mancano fisicamente sono presenti grazie a cori e passione. Sono lì, nascosti dietro i sediolini, basta percepirli. Il ritorno in Serie A era una promessa fatta a me stesso e a mio fratello. Godiamoci la festa, è un momento molto bello. Tutto ciò non era scontato… Quando arrivi al traguardo sembra che sia stato tutto semplice, ma se chiudi gli occhi ti ricordi le giornate, il freddo, il vento, la pioggia, le ore non passate in famiglia come accade per gli altri, i ragazzi con il volto scavato dalla fatica. Un momento come questo ripaga di tutto. Alla gente di Benevento chiedo di ascoltare i sussurri del vento e i battiti del cuore. È ciò che ci ha detto mio fratello, proviamoci. Non vinceremo sempre, ma saremo felici di quello che abbiamo fatto. Era il motto di mio fratello Ciro, questa sera volevo che fosse con noi, del resto non è mai andato via. Questo stadio, che porta il suo nome, è diventato proprio come l’avrebbe voluto lui. Senza Ciro sarebbe stato molto più difficile. In questa squadra ci sono campioni nel calcio e nella vita, Foggia non è un direttore sportivo ma un ragazzo della mia famiglia e non perché ci ha guidati verso la Serie A, per me è speciale”.
E così il tecnico Inzaghi, il punto di forza della società, un uomo con infinita esperienza, mai domo, mai soddisfatto, un martello a percussione, dal carisma notevole, ha dato la linfa, il gusto di giocare: lui, un ragazzotto che si entusiasma per una singola prestazione del giovane Gyamfi, che esalta e rivaluta tutti, un motore da infiniti cavalli che gioisce come un bambino anche per un gol segnato in allenamento. Ai microfoni non ha smesso di ringraziare, di continuo, tutti, anche il “dio del calcio”. “Questi ragazzi hanno fatto qualcosa di storico, siamo riusciti a eguagliare un record che resisteva dal ’77. In casa non abbiamo mai perso, non so cosa dire, sono contento per il presidente e per il direttore, perché hanno creduto in me e nel mio staff. Questi ragazzi sono stati fantastici, avremmo meritato un’altra cornice, nessuna sconfitta per 22 partite e migliore difesa d’Europa. La squadra mi ha dato tanto, il percorso è stato incredibile, è sembrata una passeggiata ma dietro c’è un lavoro che va avanti da anni. Avevo un debito d’onore con il presidente e il direttore, mi cercavano da qualche anno. Fra trent’anni ci renderemo conto di tutto ciò”.
Per adesso tutti si godono l’obiettivo raggiunto ma l’occhio già corre alla campagna acquisti. Ne vedremo delle belle.
Innocenzo Calzone
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