NAPOLI – Da sempre l’uomo ha cercato di costruire, nell’arco della propria vita temporale, un’immagine di sé capace di sopravvivergli dandogli la parvenza dell’immortalità. È nella natura umana la necessità di proiettarsi al di là della propria esistenza, attraverso il ricordo e la memoria di sé.
Si è vivi attraverso il ricordo delle persone amate e incontrate durante la nostra vita, come suggerisce Foscolo:
Non vive ei forse anche sotterra,
quando Gli sarà muta l’armonia del giorno,
Se può destarla con soavi cure
Nella mente de’ suoi? Ma già ai tempi degli Egizi, il Faraone incarnava l’immortalità di un Dio. Tutta la sua vita era costruita affinché si potesse celebrare la memoria di sé dopo la morte terrena. Le sue gesta, la sua personalità erano celebrate a favore dei suoi sudditi per continuarne il ricordo dopo la morte. Le imponenti piramidi erano il monumento alla memoria del proprio Re che avrebbe vissuto in eterno. Così i potenti nella storia hanno sempre cercato ed avallato i segni della loro significativa presenza curando la propria immagine da diffondere. Un esempio per tutti: Queen Elizabeth I, donna al potere dell’Impero britannico nel ‘500 che si reputava madre e vergine dei propri sudditi; lei era molto attenta alla propria immagine simbolica che le sarebbe sopravvissuta. Nei suoi “portrait” ogni dettaglio era voluto e curato e rappresentava simbolicamente il suo potere. Lei, che da donna, ancor più aveva bisogno di una rappresentazione del sé da elargire al pubblico.
Perché tutto abbia un senso e valore, l’uomo sente il bisogno di proiettarsi verso il futuro in vita, e lasciare un segno del suo passaggio al di là della vita stessa. Sembra che non si possa vivere giorno dopo giorno in maniera insignificante, ed anche se non consapevole, l’uomo ha necessità di lasciare traccia di sé agli altri alla ricerca della propria immortalità attraverso il ricordo. Nel tempo in cui viviamo tutto questo sembra trovare eco nelle diverse possibilità che la tecnologia, alla portata di tutti, ci offre attraverso i vari social. È un’attrattiva troppo invitante la possibilità di essere protagonisti della nostra vita e proiettarla espandendola ai più. La nostra vita testimoniata, giorno per giorno, attraverso le proprie o le altrui opinioni, commenti, emoticons.
Siamo sulla sponda del fiume che ci scorre davanti, testimoni a nostra volta, della vita degli altri che in qualche modo suggella ed avvalora la nostra dandole visibilità, testimonianza appunto. Sicuramente tutto ha il sapore del velleitario, non saranno i mille post e foto e selfie ad imprimere il ricordo del proprio passaggio, ma di certo la sensazione è che la vita si moltiplichi in queste continui frammenti di partecipazione. Nel leggere e conoscere le vite altrui, in qualche modo, espandono la propria di vita, si crea una sorta di comunità di sussistenza al ricordo di un’esistenza che sarebbe viva solo per pochi. Un privilegio che è stato sempre ad appannaggio degli eroi che per le loro gesta hanno reso eterno il ricordo, i social, i selfie testimoniano la presenza di tutti, ognuno a cercare di lasciare un segno del proprio pensiero, opinione o sensazione che la vita giorno dopo giorno offre.
È una speranza effimera che i social offrono alle persone, probabilmente un’illusione che si possa lasciare un segno indelebile in un mare limitato dalla rete che equipara tutto e tutti in un unico calderone che probabilmente svanirà con noi. A Singapore, dove la tecnologia ha raggiunto livelli direi preoccupanti, tutto ciò che una persona pubblica su facebook o sugli altri social, viene raccolto in banche dati, capaci di ricostruire in modo preciso la personalità dell’individuo, ed un’app scaricabile dal cellulare, permette di continuare conversazioni su whatsapp con la persona anche dopo la sua dipartita sulla terra, prevedendo, per statistiche e calcoli le presunte ed eventuali risposte che avrebbe dato in vita. La vita intera di ognuno di noi diventa un ologramma che, se pur virtualmente, vivrà oltre noi meno ingombrante di una piramide, ma persa nelle innumerevoli vite dell’uomo comune.
Angela Ristaldo
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