Da “vergogna d’Italia” a “orgoglio nazionale”. Il percorso compiuto da Matera (e dai suoi cittadini) è l’emblema delle straordinarie capacità di un popolo di mettersi in gioco e costruirsi passo dopo passo il presente e soprattutto il futuro. Oggi – e non è una esagerazione – Matera è una delle città più belle d’Italia: chi la vede per la prima volta non può che rimanere a bocca aperta di fronte ai Sassi, ormai universalmente conosciuti e capaci di creare un’urbanistica così peculiare. Vale la pena ripercorrere per sommi capi i passaggi di una storia affascinante e coinvolgente.
Fu lo scrittore Carlo Levi, che in Lucania era stato mandato in esilio dal regime fascista, a far luce con le sue opere sulla condizione di degrado della società materana, portando la questione all’attenzione dell’allora leader indiscusso del Partito comunista, Palmiro Togliatti. E fu proprio quest’ultimo a definirla “vergogna nazionale”, dopo averla visitata nel ’48. Il presidente del Consiglio Alcide de Gasperi non poté che confermare quando visitò di persona i Sassi all’inizio degli anni ’50.
Va subito detto che Matera è una delle città più antiche d’Italia, forse del mondo. La particolare conformazione rocciosa su cui sorge ha prestato anfratti e grotte come rifugio sin dal Paleolitico. In sostanza, le pareti della gravina su cui sorge furono utilizzate per scavare abitazioni, stalle, chiese rupestri, orti pensili… Un’architettura assai particolare che resse fino agli inizi del 1800, soprattutto per i costi bassissimi e anche anche grazie alla sicurezza che forniva una posizione così peculiare.
La principale attività economica era costituita dalla pastorizia (che, insieme ad un po’ di agricoltura, rimase principale fonte di sostentamento per secoli), ma fu l’aumento della popolazione a decretare un importante peggioramento delle condizioni di vita: le grotte vennero progressivamente ampliate e trasformarono chiese, stalle, cisterne in abitazioni. Una serie di interventi che non solo portarono numerose famiglie a vivere in condizioni sempre più malsane, ma ridussero anche i pochi servizi disponibili. In quelle “abitazioni” mancava l’acqua (che si andava a prendere da un fiumiciattolo e si trasportava in grossi contenitori di terracotta) e non esisteva un sistema fognario.
I servizi igienici consistevano in “vasi da notte” (detti prisi) che venivano svuotati per strada e non sempre tutti i giorni, cioè quelle che si chiamano “fogne a cielo aperto”. Non c’era un sistema di raccolta dei rifiuti, le famiglie aumentavano di numero e finivano per vivere in 10-12 dentro umidissimi anfratti nel tufo, non di rado condividendo i già angusti spazi abitativi con asini, maiali, pecore, conigli, galline… Nei primi anni del Novecento le condizioni erano abbastanza gravi, ma con le due guerre mondiali peggiorararono notevolmente. All’epoca si stimavano tassi di mortalità infantile oltre il 44%, analfabetismo imperante e, molto spesso, anche malattie infettive come malaria, tubercolosi e colera che si diffondevano rapidamente, proprio a causa delle assai precarie condizioni igieniche.
Una situazione ormai insostenibile e inaccettabile per un’Italia che si stava velocemente risollevando dagli orrori della guerra e della dittatura e che si stava avviando al boom economico degli anni Sessanta. Nel 1952, grazie ad una legge speciale praticamente votata da tutti, si decise di sgomberare quegli antichissimi rioni e di trasferire gli abitanti in strutture realizzate appositamente, che andarono a comporre la “città nuova”. Al grande progetto urbanistico parteciparono molti intellettuali, imprenditori, sociologi e artisti dell’epoca: importante fu l’apporto di Adriano Olivetti. E fu decisivo soprattutto il lavoro continuo di un politico lucano, Emilio Colombo, che con la Democrazia cristiana era stato eletto appena ventiseienne nell’Assemblea Costituente e che in seguito fu tante volte ministro e anche presidente del Consiglio e presidente del Parlamento europeo. Vale la pena anche ricordare che con Colombo a Palazzo Chigi mosse i primi timidi passi la legge sul divorzio.
Insomma, intorno alla metà degli anni Cinquanta, cominciò il cosiddetto “sfollamento”, che interessò complessivamente circa 17mila persone. L’ultima famiglia lasciò i Sassi nel 1968. Lo Stato pretese che quei tuguri venissero sgomberati e abbandonati, perché le condizioni di chi li abitava non erano degne di una nazione civile: era ormai indifferibile restituire dignità ai suoi abitanti, oltre che per interrompere un circolo vizioso di povertà e insalubrità. E lo stesso Stato si fece carico di realizzare case popolari e infrastrutture, mentre il Sasso Barisano e Sasso Caveoso (i due “quartieri” che costituivano l’intera area) furono lasciati nell’abbandono più totale per molti anni.
Lo “sfollamento” non fu un processo indolore, tutt’altro. Soprattutto gli anziani non riuscivano ad accettare quella che per loro si concretizzava come una vera e propria “deportazione”. Alcuni, i più intraprendenti, decisero di lasciare per sempre la loro terra e di andarsene al Nord o all’estero in cerca di fortuna; altri rimasero ma con prospettive di rinascita abbastanza precarie. Lentamente e a fatica, il processo di riqualificazione dei Sassi andò avanti. Il primo tangibile risultato arrivò nel 1993 quando Matera ottenne il riconoscimento Unesco di Patrimonio dell’Umanità.
Un marchio prestigioso, di indubbia valenza universale, ma quel “distintivo” andava riempito di contenuti. Che faticarono a concretizzarsi: Matera rimaneva, nonostante quell’enorme bene a disposizione, una città “povera”, priva di reali prospettive di sviluppo. La seconda svolta, quella probabilmente decisiva, arriva qualche anno fa, esattamente nel 2019, quando il capoluogo lucano diventa Capitale europea della Cultura. Un vero e proprio boom turistico investe la città (che oggi conta circa 60mila abitanti); fioriscono centinaia di attività connesse al settore dell’accoglienza e della ristorazione. Un flusso ininterrotto di visitatori che non conosce stagionalità (i mesi meno “ricchi” sono novembre e febbraio) e che ha dato ai materani lavoro e prosperità. A ciò si aggiungano un serie di eventi culturali e di intrattenimento che hanno reso la “città dei Sassi” (che, oltre alle grotte-case, ospita cisterne, magazzini e ben 156 chiese rupestri, molte delle quali perfettamente conservate e arricchite da preziosi affreschi risalenti al 700-800 d.C.) famosa in tutto il mondo: in primis, gli show di RaiUno, condotti da Amadeus la notte di Capodanno.
Oggi, Matera è un città imperdibile, dotata di un fascino irresistibile, che attrae e coinvolge e che soprattutto sta dimostrando di meritare la sua fama: domenica 30 luglio alle 17,30 un addetto svuotava sistematicamente i cestini dei rifiuti sia nella “città nuova” che nella zona dei Sassi. Perché i riconoscimenti arrivano, ma poi bisogna meritarseli. Sempre.
Buona domenica.
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