NUORO – I Masai sono una popolazione africana che abita una vasta zona tra il Kilimangiaro, il Lago Vittoria e il Lago Naivasha, e che si spinge fino alla regione a sud del Lago Rodolfo. Vivono prevalentemente di allevamento, sono per lo più pastori seminomadi, per quanto alcuni gruppi si siano adattati all’agricoltura. I seminomadi abitano dentro recinti, in costruzioni fatte di ramaglia e fango col tetto pianeggiante. Le dimore si dividono internamente grazie a tante pareti intermedie. In ognuno di questi ambienti vive un gruppo di pastori. Gli agricoltori invece abitano in villaggi permanenti dello stesso tipo.
La struttura politico-sociale dei Masai è fondata su un sistema di classi di età suddiviso in tre gradi: uno iniziale, da cui si esce con la “festa della pubertà”; uno successivo “guerriero”; e un terzo grado “anziano”. La “festa della pubertà” ha come suo rito principale la circoncisione degli iniziandi. Come presso altri popoli dell’Africa orientale, i Masai considerano atto di omaggio il presentare agli ospiti fascetti di erba su cui essi sputano, perché lo sputo è da loro considerato un segno di benedizione. Parlano il “maa”, una lingua d’origine nilo-sahariana, da cui il nome dell’etnia che è da loro pronunciato maasai.
I Masai raccontano che la loro origine ebbe luogo quando il progenitore, Mamasinta, risalì il grande burrone. Il riferimento geografico ben si addice alla serie di ripide scarpate che separano la valle del lago Turkana, nel nord del Kenya, dagli altopiani centrali del paese. Sono monoteisti e credono in Enkai, dio che si rivela con colori diversi a seconda dell’umore. Il dio è nero, narok, quando è buono; rosso, nanyokie, quando è irritato. La persona che si occupa dell’aspetto sacro del popolo è l’Oloibon, che conosce i rituali ed è in grado di fungere da medium verso il dio, ma anche di portare il messaggio divino alla gente. Dei Masai si conosce la lunga e fiera figura vestita di rosso che spesso compare nei film e nei documentari sul Kenya, ma non tutti sanno che alla base della loro vita c’è una ricca spiritualità tramandata di generazione in generazione e che concepisce affianco al dio l’uomo come co-creatore dell’universo.
Il popolo dei Masai ha tanto da insegnare e fonda la propria spiritualità su cinque pilastri. Il primo è chiamato “ILMAO”. Essi ritengono che tutte le cose sono collegate fra loro da un filo conduttore e generano delle coppie di elementi complementari. Tutto è regolato dalla dualità che regna sovrana in natura: il giorno e la notte come la pioggia e la siccità. Ma anche l’uomo è soggetto a questa regola. In lui infatti coesistono paura e coraggio, gioia e dolore, avidità e generosità, altruismo ed egoismo. Non credere in questo induce l’uomo masai a vivere in conflitto con gli altri e con se stesso. Perciò, accettare l’idea che il mondo sia regolato dalla dualità porta l’individuo a vivere secondo pazienza e gentilezza, guardando il proprio animo e quello degli altri con indulgenza e uno sguardo sfumato.
Il secondo pilastro richiede ai Masai di essere sempre nella gioia. È questo il cosiddetto “ENCIPAȈ”, ossia l’idea che il popolo ha di abbellire con almeno due notizie positive le notizie cattive. La gioia che per noi occidentali è un obiettivo da raggiungere, è il punto di partenza della loro esistenza, è ciò che manifesta il loro legame con il sacro e la divinità, è fonte di vita. Sono convinti che occorre sempre essere grati per qualcosa. La gratitudine alimenta la gioia e rafforza il sentimento di gratitudine verso chi li circonda. Si è pertanto grati per essere al mondo, per vivere, per avere del cibo con cui nutrirsi, per riuscire a superare le difficoltà e poterlo raccontare. Scopo della vita è condividere e provare insieme agli altri la gioia, esaltando quanto di positivo ci viene quotidianamente donato da Dio, mostrando umorismo e felicità per sé e per gli altri. Queste sono pratiche positive che mantengono sempre brillante e attiva la gioia di vivere ogni giorno, perché la gioia è una forma di cortesia che dobbiamo a chi ci sta vicino e favorisce un sano confronto tra le persone da cui tutti possono ottenere beneficio.
Il terzo pilastro è “l’OSINA KISHON”, cioè l’idea che dalla sofferenza si generi per l’uomo sempre e comunque un’opportunità. “Senza sofferenza non c’è risveglio” dicono i Masai che vedono nel dolore un’opportunità di crescita, “la carne che non è dolorosa non sente nulla”. È in quest’ottica che ringraziano continuamente la Madre Terra di metterli costantemente alla prova e di offrire loro, nel loro cammino anche di sofferenza, un vantaggio. Essi pertanto tendono a visualizzare le proprie emozioni, la tristezza, il desiderio di vendetta, la paura, la rabbia, il senso di scoramento, e li trasformano nei nodi di una corda cui poi danno fuoco.
Il quarto pilastro è “L’EUNOTO”, il suggerimento per l’uomo di diventare un seminatore. La logica che permea il pensiero dei Masai è quella di chi prende un seme, lo pianta, se ne prende cura e accetta i rischi del suo gesto. Essere un buon seminatore significa mettersi al passo con il momento presente, adattandosi alle circostanze, essendo fiduciosi nei risultati, mostrando umiltà nei gesti compiuti e forza di volontà. Ciò induce nell’uomo uno stato di serenità, regala pazienza e protegge dalla delusione e dall’ira. Piantare un albero perciò significa mettere da parte l’egoismo, il “voglio” a tutti i costi e aiuterà l’uomo ad affrontare con serenità ciò che avviene.
L’ultimo pilastro è “L’AINGORU ENKITOO” cioè il cercare nelle cose il giusto ordine. Essere nel giusto, sia con le azioni che con le parole, per i Masai significa essere in comunione con la Divinità suprema. Essere alla ricerca dell’ordine permette all’uomo di seguire la missione che è stata affidata a ciascuno su questa terra. Ritengono infatti che si debbano ascoltare i segnali che il proprio corpo manda quando si è fatta una scelta o si è presa una decisione. Se si è agito bene il corpo emetterà delle onde calme, trasmetterà un senso di pace interiore che suggeriscono che si è operato, seppur in modo non semplice, almeno nel modo giusto.
Virginia Mariane
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