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I dialetti d’Italia, tesoro da preservare

di | 2022-07-22T18:41:16+02:00 24-7-2022 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

In un’esilarante gag il comico Enrico Brignano percorreva, con una divertente passeggiata virtuale, l’intero “Belpaese” da nord a sud, raccontando e imitando i dialetti caratteristici delle regioni d’Italia. Passando da una regione all’altra canzonava gli abitanti dalla Valle d’Aosta al Trentino, dell’Emilia e della Romagna, Umbria, Lazio, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna, divertimento assicurato ad ascoltare i brocardi di ogni città. Dall’ostregheta veneta (che indica meraviglia) al bedda matri (calabrese che raccoglie stupore e apprensione). Ed è proprio questa bellezza tipica delle nostre regioni che abbiamo e dovremmo custodire. L’Italia nel corso degli anni ha visto il passaggio di molte popolazioni e molte lingue diverse, dal latino, l’antica lingua dei romani, al volgare, che è stato poi accompagnato e arricchito da molti dialetti.

Enrico Brignano

Seppur riunita in uno stato unitario sin dal 1861, l’Italia rimane una nazione nella quale lo spirito territoriale rimane ancora molto vivo. Ogni regione italiana si caratterizza per il modo di parlare e secondo quanto riportato in una indagine dell’Unesco, in Italia sono attive 31 lingue, quelle che comunemente si chiamano dialetti e che vengono parlate come l’italiano. La famiglia, in senso stretto, è custode dei dialetti che si usano comunemente durante le conversazioni, mentre nei rapporti all’esterno si tende ad usare l’italiano. Tra i dialetti i più diffusi ci sono il napoletano, veneto, siciliano, lombardo, sardo, piemontese, emiliano ed romagnolo, friulano e ligure. In due regioni italiane a statuto speciale, si parlano il tedesco, nel Trentino Alto Adige, ed il francese, in Valle d’Aosta.

I vari dialetti sono parlati maggiormente da persone non alfabetizzate e che abitano nelle zone rurali, oltre che dalle persone più anziane. Nelle regioni settentrionali sono proprio gli anziani a mantenere viva la tradizione dialettale, mentre nelle altre regioni molto spesso sono i giovani a parlare in dialetto, per affermare maggiormente la propria appartenenza alla zona di nascita o di abitazione. In questa suddivisione, il sardo non è propriamente un dialetto, ma una lingua vera e propria che è rimasta più vicina al latino e che per l’isolamento della Sardegna dal resto dell’Italia, non ha subito per secoli contaminazioni da altri dialetti e lingue.

Cos’è, allora, un dialetto? Esso è, in senso linguistico, la varietà di una lingua. In senso genealogico, un dialetto è una lingua che si è evoluta da un’altra lingua. In senso sociolinguistico, un dialetto è una lingua subordinata ad un’altra lingua. I linguisti dovranno tener presente vari parametri per individuare un dialetto o un termine dialettale: innanzitutto, la comprensione reciproca, davanti a due idiomi diversi è necessaria una mutua intelligibilità, ossia se i due parlanti si capiscono tra loro quando parlano, siamo sicuramente di fronte a due dialetti della medesima lingua. Secondo, il lessico di base che deve essere comune, perciò se più dell’80% delle parole di uso comune impiegate dai due parlanti sono le stesse (anche se pronunciate in modo differente), i due idiomi sono dialetti della stessa lingua. Infine la morfologia e sintassi devono essere omogenee. Se i due parlanti utilizzano le stesse regole grammaticali per esprimersi, parlano due dialetti della stessa lingua. Ad esempio questo accade tra leccesi e siciliani che hanno le stesse caratteristiche, pur essendo territorialmente distanti, sono stati abitati dalle stesse popolazioni conquistatrici.

Un’analisi dell’ISTAT ha certificato che la lingua italiana è parlata in esclusiva solo dal 45% della popolazione, mentre una quota del 32,2% alterna italiano e dialetto ed il dialetto è parlato in modo esclusivo dal 14% della popolazione. Così nei dialetti settentrionali sono compresi quelli “gallo – italici” e quello dei “veneti”. Nel gruppo dei dialetti del centro Italia sono compresi tutti i dialetti “toscani”, dal fiorentino al pisano, dal lucchese al senese ed al pistoiese, e quelli “centrali” come il romanesco e l’umbro-marchigiano. Infine nei dialetti meridionali sono compresi il molisano, il napoletano e gli altri campani, il calabrese, il siciliano, il salentino e gli altri pugliesi.

Il dialetto si parla in un’area geografica di piccole dimensioni e viene prevalentemente parlato, e non scritto. Un qualcosa che viene tramandato di generazione in generazione, che rischia di perdersi nel tempo ma ascoltare la voce dei nostri nonni, delle tradizioni e del passato, scalda sempre un po’ il cuore e fa tornare a sorridere.

Claudia Gaetani

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