L’Ordine, di fondazione pontificia (Pio IV) e definito una “quasi religio”, aveva la sua base, con tanto di collegio per gli allievi e chiesa a Pisa ed arsenali a Livorno e a Portoferraio sull’isola d’Elba. La croce rossa – a otto punte bordata d’oro in campo bianco, con gigli d’oro – era il suo simbolo. I candidati, per essere ammessi, dovevano dimostrare di possedere quattro quarti di nobiltà (genitori e nonni paterni e materni), erano suddivisi in cavalieri di gran croce, commendatori, cavalieri. Inoltre avevano l’obbligo di frequentare il collegio per tre anni, studiando una serie di materie. Tra le imprese più famose dell’Ordine la difesa di Malta, la battaglia di Lepanto, la presa di Bona, base in Algeria dei pirati saraceni.
PERUGIA – In poco meno di tre secoli (dal 1562 al 1855) l’Umbria ha fornito esattamente 238 cavalieri all’Ordine di Santo Stefano, fondato da Cosimo I de’ Medici (in basso a destra), Granduca di Toscana, per combattere la pirateria berbera, saracena e turca nel Tirreno e più in generale in tutta l’area del Mediterraneo. Lo studio, che ha richiesto molti mesi di impegnativo lavoro documentale, è stato brillantemente condotto a termine da Filippo Orsini, direttore dell’Archivio comunale di Todi e noto ricercatore storico ed è stato illustrato ad una attenta e affascinata platea nel corso di un convegno, tenuto nell’aula magna della Scuola di Lingue Estere dell’Esercito nel complesso del Santa Giuliana.
Quasi tutte le città umbre, in questi tre secoli, hanno fornito, per combattere i pirati, la loro migliore e più antica aristocrazia, proveniente da una regione, questa è una singolarità, senza mare. Non solo le città più grandi come Perugia (61 cavalieri, tra cui i Baglioni, gli Almeni, i Baldelli, i Coppoli, i Della Corgna) o Terni (5, con i Rosci, i Castelli, i Perotti, i Canale, i Rustici), ma anche cittadine come Orvieto (41, con gli Alberici, I Saracinelli, i Lattanzi, gli Albani, i Simoncelli, i Montemarte, i Guidoni, i Magalotti), Città di Castello (32, con i Vitelli, i Bourbon del Monte, i Bourbon di Petrella, i Bufalini, i Fucci, i Guelfucci), Gubbio (27, con i Ghirelli, i Fabiani, i Bovarelli, gli Andreoli, i Bentivoglio, i Biscaccianti), Amelia (16, con i Geraldini, i Mandosi, i Farrattini), Todi (14, con gli Astancolle, gli Atti, i Leoni, i Carocci, i Corradi, i Prosperi, i Leoncini), Spoleto (12, con i Parenzi, i Brancaleoni, i Campello, i Falconi, i Leoncilli, i Leguzzi, gli Alberini), Foligno (7, con gli Elmi e i Gherardi), Narni (12, con gli Eroli, i Lambardi, i Cesi, i Ridolfini), ed ancora Norcia (2, con i Colizzi), Assisi (2, con i Servanzi-Confidati), Cascia (2, i Santi), persino Cannara (1, con i Contucci).
Alcuni di questi cavalieri hanno raggiunto i gradi più alti dell’Ordine: gran connestabile, ospitaliere, tesoriere o influenti membri del consiglio.
Curioso e singolare anche un altro fatto e che cioè l’allora duca di Toscana, nel fondare l’istituzione, creò quale primo cavaliere dell’ordine (il 30 marzo 1562) un umbro: Chiappino Vitelli (nella foto a sinistra), che in realtà si chiamava Gian Luigi (figlio di Nicolò II e di Gentilina della Staffa di Perugia e marito di una Cybo, Eleonora). Quest’ultimo, proveniente da uno dei rami dei Vitelli di Città di Castello, condottieri di ventura da quasi un secolo e con più esponenti, si era già fatto un nome quale stratega e combattente sia contro i pirati di Dragut a Tripoli (nel 1550), sia nella guerra di Siena (1557) tanto da essere investito, dallo stesso duca, del marchesato di Cetona.
Sotto il mantello dei cavalieri di Santo Stefano Chiappino combattè in Africa (la battaglia del Pignone, in Marocco) e all’assedio di Malta (1565). Nel 1570 Chiappino era al fianco di Cosimo I (che in una lettera lo chiama “illustrissimo signore” e “mio nobile gentilhuomo dilettissimo”) nella cerimonia ufficiale a Roma con la quale il duca veniva elevato al titolo di Granduca di Toscana. Successivamente il Vitelli, uomo di azione, accettò le proposte del re di Spagna Filippo II e andò a combattere nelle Fiandre, in quella regione, focolaio di guerre, che qualche storico ha definito “il Vietnam dell’epoca”. Chiappino morì – la sua fine resta ancora oggi un “giallo” che meriterebbe di essere raccontato – ad Anversa nel 1575.
Anche l’ultimo cavaliere nominato fu umbro: l’investutura toccò a Paolo dell’antico casato dei Campello il 14 maggio 1855.
Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, un modellino di galea
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